25 gennaio 2011

LE DISTANZE MINIME DELLE COSTRUZIONI

Il Codice Civile (art. 873) prescrive che le costruzioni realizzate su fondi confinanti, se non aderenti, devono essere poste alla distanza di almeno 3 metri (o alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali, emanati nel rispetto delle norme statali e regionali).
Il Decreto interministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, tuttora vigente in forza dell’art. 136 del Testo Unico dell’edilizia (che ha fatto salvi i commi 6, 8 e 9 dell'art. 41 quinquies della L. 17 agosto 1942, n. 1150), stabilisce, all’art. 9, le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee.
Per i nuovi edifici è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Nelle Zone C (parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi) è prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto.
Le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli, inoltre, devono essere pari alla larghezza della strada aumentata, per ciascun lato, di:
- 5,00 m , per strade di larghezza inferiore a 7 m
- 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 e 15 m
- 10,00 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m
Sono ammesse distanze inferiori:
- in Zone A (centri storici) per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni. Le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
- nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Con la sentenza 7731/2010 il Consiglio di Stato ha riaffermato che le distanze stabilite dal D.M.1444/1968 costituiscono valori minimi inderogabili che devono essere rispettati dai Comuni all’atto dell’approvazione o della revisione degli strumenti urbanistici.
La distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti – si legge nella sentenza - va rispettata in tutti i casi, poiché si tratta di una norma volta a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario che pertanto non è eludibile.
Ciò comporta che il giudice di merito non solo ha l’obbligo di non applicare le disposizioni dei piani regolatori che contrastano con quelle del D.M.1444 (che pertanto sono illegittime) ma anche di applicare direttamente le disposizioni dell’art. 9 che devono ritenersi “parte integrante dello strumento urbanistico” in sostituzione delle norme illegittime.
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti - precisa la sentenza - va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati (e non alle sole parti che si fronteggiano) e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Ai fini del computo delle distanze devono essere considerati tutti gli elementi costruttivi salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura. Nel calcolo possono essere trascurati invece, ad esempio, i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni.

Etichette: