23 aprile 2011

RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE PER VIZI DELL’OPERA

In tema di contratto di appalto, l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte, osservando nell'esecuzione della prestazione la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176, 2° co., c.c., quale modello astratto di condotta che si estrinseca (sia esso professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Anche laddove si attiene alle previsioni del progetto altrui, come nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione, l'appaltatore può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera qualora non abbia, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, al primo segnalato eventuali carenze ed errori. Mentre va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l'appaltatore ridotto a mero nudus minister ( cfr., da ultimo, Cass., 12/4/2005, n. 7515; Cass., 30/5/2003, n. 8813; Cass., 2/8/2001, n. 10550; Cass., 26/7/1999, n. 8075 ).
La responsabilità dell'appaltatore è pertanto da escludere solo nell'ipotesi in cui risulti costituire passivo strumento nelle mani del committente, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico. In ogni altro caso la prestazione dovuta dall'appaltatore viceversa implicando, come detto, anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto (v. Cass., 2/8/2001, n. 10550; Cass., 12/5/2000, n. 6088).
Con specifico riferimento all'attività di costruzione di opere edilizie, si è in giurisprudenza di legittimità in particolare affermato che in mancanza di diversa previsione contrattuale l'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra propriamente tra i compiti dell'appaltatore (v. Cass., 16/11/1993, n. 11290; Cass., 18/3/1987, n. 2725), trattandosi di indagine, implicante una attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici, che al medesimo appaltatore -quale soggetto obbligato a realizzare l'opera commessagli- spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione ( v. Cass., 7/9/2000, n. 11783 ).

Lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede infatti la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'opera, onde si configura come onere dell'appaltatore predisporre un'organizzazione della sua impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione di eseguire l'opera immune da vizi e difformità ( artt. 1667, 1668, 1669 c.c.) (cfr.Cass., 23/9/1996, n. 8395).
L'indagine sulla natura e consistenza dei suolo edificatorio rientra anch'essa tra gli obblighi del l'appaltatore, in quanto l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere poste le relative fondazioni. E poiché la validità di un progetto di una costruzione edilizia é condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo da parte dell'appaltatore va esteso anche in ordine a tale aspetto.
Ne consegue che l'appaltatore risponde per i difetti della costruzione derivanti (pure) da vizi ed inidoneità del suolo (v. Cass., 18/4/2002, n. 5632; Cass., 29/1/2002, n. 1154; Cass., 7/9/2000, n. 11783; Cass., 16/11/1993, n. 11290; Cass., 27/4/1993, n. 4921), anche laddove gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, in tal caso prospettandosi l'ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d'opera professionale ex art. 2235 c.c. (cfr. Cass., 23/9/1996, n. 8395).
Come in giurisprudenza di legittimità già posto in rilievo i limiti di tale responsabilità sono invero quelli generali in tema di responsabilità contrattuale, presupponendo questa l'esistenza della colpa lieve del debitore, e cioè il difetto dell'ordinaria diligenza. Si è al riguardo in qualche occasione altresì precisato che solo laddove nel caso concreto le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure "normali", l'appaltatore potrebbe andare esente da responsabilità per vizi e difformità della costruzione dipendenti dalla mancata o insufficiente considerazione dì quelle condizioni (v. Cass., 23/9/1996, n. 8395).
Al riguardo va peraltro precisato che la detta normalità va invero valutata avuto riguardo alla diligenza media richiesta, ai sensi dell'art. 1176, 2° co., c.c., dalla specifica natura e dalle peculiarità dell'attività esercitata (cfr. Cass., 20/7/2005, n.15255; Cass., 8/2/2005, n. 2538; Cass., 22/10/2003, n.15789; Cass., 28/11/2001, n. 15124; Cass., 21/6/1983, n. 4245).
L'appaltatore è infatti tenuto a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli, dovendo adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l'esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto idoneo a soddisfare l'interesse creditorio.
La diligenza si specifica invero, come posto in rilievo in dottrina, nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità.
Quest'ultima in particolare consiste -sotto l'aspetto dell'integrità materiale- nella mancanza di vizi e nell'idoneità dell'opera all'uso.
La perizia si sostanzia invece nell'impiego delle abilità e delle appropriate nozioni tecniche peculiari dell'attività esercitata, con l'uso degli strumenti normalmente adeguati; ossia con l'uso degli strumenti comunemente impiegati, in relazione all'assunta obbligazione, nel tipo di attività professionale o imprenditoriale in cui rientra la prestazione dovuta.
Trattandosi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l'appaltatore o il prestatore d'opera incaricato viola in particolare il dovere di diligenza stabilito dall'art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell'arte, l'idoneità delle anzidette strutture a reggere l'ulteriore opera commessagli, e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l'inidoneità di tali strutture, procede egualmente all'esecuzione dell'opera (v. Cass., 9/2/2000, n. 1449; Cass., 18/3/1980, n.1781. Cfr. altresì Cass., 22/6/1994, n. 5981, Cass., 11/1/1989, n. 80; Cass., 7/4/1987, n. 3356; Cass., 25/7/1984, n. 4352; Cass., 20/1/1982, n. 3717).
Anche l'ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell'opera manifestatesi in corso d'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall'art. 1664, 2° co., c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, va in effetti valutata, si è sottolineato in giurisprudenza di legittimità, sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata (v. Cass., 23/11/1999, n. 12989).
Né si è mancato di sottolineare che ove l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l'obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi (v. Cass., 18/4/2002, n. 5632).

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