25 settembre 2011

LE RISERVE PER FATTI CONTINUATIVI

I cosiddetti fatti continuativi sono i fattori di pregiudizio per l’appaltatore legati non a decisioni espresse formalmente - e dunque necessariamente destinate a riflettersi negli atti contabili – dall’appaltante ma ai suoi comportamenti che, in correlazione al loro protrarsi possono alterare in danno dell’appaltatore l’equilibrio economico dell’esecuzione contrattuale.
Può trattarsi, per esempio, del fatto che, al di là dell’osservanza di specifici obblighi contrattuali, è violato il dovere dell’appaltante di rendere possibile l’esecuzione dell’opera, quando essa non tenga comportamenti idonei a preservare gli interessi dell’appaltatore mediante opportuna cooperazione. (Collegio Arbitrale Roma 19/11/2004).
Per fatti continuativi devono intendersi solo gli avvenimenti il cui perdurare nel tempo ha in sé una carica dannosa non solo di carattere permanente, ma suscettibile di essere apprezzata nel tempo per la sua potenzialità di produrre alterazioni nello svolgimento dei lavori; pertanto non possono configurarsi come fatti continuativi episodi vari, materialmente e concettualmente autonomi, con caratteristiche e aspetti diversi, discontinui e soggetti a variazioni.
Sono fatti continuativi quelli che si ricollegano o a una serie causale o a una concatenazione di episodi singolarmente privi di un’apprezzabile rilevanza onerosa, per i quali l’Appaltatore può essere in grado di percepire, secondo i criteri di media diligenza e di buona fede, la reale potenzialità dannosa dei fatti unitariamente e globalmente considerati.
L’onere di inserzione della riserva per fatti continuativi che rendono anomala l’esecuzione dei lavori non sorge con la semplice sopravvenienza di circostanze impeditive della regolare esecuzione dei lavori, ma quando l’efficienza causale della situazione e la sua idoneità a rendere definitivamente più gravosa la prestazione si manifestino in modo obiettivamente apprezzabile da parte dell’appaltatore stesso. E’ ovvio che lo stabilire il momento in questione possa essere in concreto assai arduo. Ovviamente occorre fare riferimento a canoni di media diligenza e buona fede dell’appaltatore circa la possibilità oggettiva per esso di apprezzare (e da quando e in che misura) l’esistenza del pregiudizio. Si tratta della tipica fattispecie nella quale l’apprezzamento definitivo del fatto rientra nella sfera di merito della eventuale decisione contenziosa. (Collegio Arbitrale Cagliari 12/3/2004).
Il che detta, ovviamente, l’approccio rispettivo e contrapposto al problema da parte dell’appaltatore e dell’appaltante. Il primo, ferma l’estrema consigliabilità per esso dell’anticipazione del momento di iscrizione della riserva, cercherà di valorizzare inevitabilmente gli indici (tratti dalla contingenza del caso concreto, più che da principi astratti) comprovanti una sua incolpevole differita percezione del problema. Mentre l’opposto farà il secondo, teso a far decadere l’appaltatore dalla sua pretesa. In questo contesto, merita segnalazione un orientamento più critico, che appare maggiormente conforme sia all’odierno sistema, sia alla ratio fondamentale delle riserve, sia alla prospettiva evolutiva delle norme vigenti, secondo il quale (Collegio Arbitrale Cremona 31/5/2002 che ascrive alla categoria dei fatti continuativi lo slittamento dei tempi esecutivi connessi all’approvazione di una perizia di variante) l’onere di iscrizione della riserva diviene operativo quando la potenzialità del danno è obiettivamente apprezzabile secondo criteri di ordinaria diligenza e di buona fede da parte dell’appaltatore che sia in grado di rilevarne l’esistenza e la misura presumibile, salvo a precisarne l’entità nelle successive registrazioni (nei medesimi termini Collegio Arbitrale Milano 17/10/2006).
E’ cioè opportuno che nel suo interesse l’appaltatore denunzi (mediante l’iscrizione di riserva sugli atti che dovessero essergli sottoposti) il pregiudizio appena gli sia distinguibile, enunciando almeno gli elementi tecnico-economici costitutivi della sua pretesa, salvo rinviare al momento del compimento ed esaurimento del fatto continuativo pregiudiziale la precisa e definitiva quantificazione della riserva.
Secondo alcune tesi, l’Appaltatore potrebbe proporre le riserve nel momento in cui il fatto continuativo ha cessato di operare, in quanto solo allora è in grado di rendersi conto del suo effetto dannoso.
Secondo altre tesi, la continuità del fatto impedisce solo che l’Appaltatore debba subito precisare l’esatta entità dei compensi vantati, ma non lo libera dall’onere di immediata proposizione della riserva non appena il fatto continuativo abbia iniziato a produrre i suoi effetti, ad eccezione di quando le conseguenze del fatto dannoso continuativo non potevano essere immediatamente valutate nella loro portata o inizialmente apparivano trascurabili.
Il fatto continuativo non dà luogo a una ipotesi di deroga al principio di generalità della riserva ma si riflette sul momento in cui l’onere di iscrizione e di esplicazione si manifesta, nel senso che il momento iniziale coincide con quello in cui dal ripetersi degli episodi pregiudizievoli l’Appaltatore dovrebbe trarre – con ordinaria diligenza – la percezione della loro incidenza economica, mentre la definitiva quantificazione va sempre ricollegata quanto meno alla cessazione della continuazione.

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