ART. 38 E DOVERI DELLA STAZIONE APPALTANTE
La
stazione appaltante ha il dovere di esprimere un giudizio rispetto alle
condanne dichiarate dai concorrenti in sede di gara.
Così
ha deciso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 3 dicembre 2010 n.
8535.
Nel caso di specie, relativo all’affidamento dei lavori di rifacimento di un
tratto stradale, uno dei concorrenti aveva impugnato l’esclusione dalla gara
comminata per violazione dell’articolo 38 del Codice dei contratti.
I
giudici di Palazzo Spada affrontando la questione, posta all’esame del Tar
Piemonte in primo grado, affermano un principio fondamentale per l’agire delle
stazioni appaltanti.
Mettendo
in luce la discrezionalità delle amministrazioni nella valutazione delle
condanne riportate dai concorrenti “fermo restando, pertanto, il dovere dei
concorrenti di dichiarare lealmente tutte le condanne subite”, si sostiene che
da questo principio “non può non discendere il dovere della stazione appaltante
di motivare in maniera congrua il proprio giudizio, non solo quando questo
propenda per il carattere ostativo delle eventuali condanne, ma anche nella
diversa ipotesi in cui una condanna penale – pur sussistente – sia reputata
irrilevante e comunque non incidente sull’affidabilità del concorrente.” La
decisione della stazione appaltante circa l’incisione o meno della condanna
dichiarata dal concorrente sulla sua moralità professionale deve essere
necessariamente supportata da un giudizio conoscibile per coloro che
interagiscono con l’amministrazione, “il problema, infatti, non è la logicità o
meno del giudizio nella specie espresso dalla stazione appaltante, ma la
mancanza di tale giudizio, ossia l’impossibilità di interpretare in un senso o
nell’altro il silenzio serbato sulla condanna riportata da uno dei
concorrenti.” In conclusione, il dovere per le amministrazioni aggiudicatrici,
illustrato nella sentenza, discende da elementari principi di trasparenza e par
condicio, in quanto deve essere tutelato l’interesse degli altri concorrenti a
conoscere il perché determinati pregiudizi penali siano giudicati ostativi ed
altri no.
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