30 settembre 2010

LE CONCESSIONI AUTOSTRADALI

Negli ultimi due anni sono intervenute importanti modifiche alla disciplina sulle concessioni autostradali con l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. e con l'introduzione di un nuovo sistema tariffario. La legge finanziaria 2010, all'articolo 2, comma 195, ha quindi introdotto, con due modifiche all'art. 8-duodecies del decreto legge n. 59/2008, alcune modifiche alla nuova disciplina sulle concessioni autostradali. Da ultimo, l'articolo 15, commi 1-5, del decreto legge n. 78 del 2010 (come modificato dal recente D.L. 125/2010) ha previsto alcune modifiche al sistema di pedaggiamento autostradale finalizzate alla riduzione dei trasferimenti statali ad ANAS.

Al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione C(2006) 2006/2419, secondo la quale il Governo italiano aveva imposto unilateralmente - con l'introduzione di una convenzione unica - un nuovo contratto alle attuali concessionarie stradali, senza fornire motivazioni circa gli scopi perseguiti né orientamenti sulle modalità di applicazione del nuovo meccanismo, l'art. 8-duodecies del decreto-legge 59/2008 ha modificato la disciplina sulle concessionarie autostradali (art. 2, commi 82-90, del decreto-legge 262/2006), in modo da escludere l'applicazione unilaterale delle relative convenzioni da parte del governo e i rischi di retroattività.
Esso ha inoltre disposto l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. ed ha introdotto un nuovo meccanismo di adeguamento tariffario per Autostrade per l'Italia, che lega la variazione dei pedaggi - da una parte - al tasso di inflazione effettiva dell'anno precedente (fissandolo al 70% di quest'ultima) e - dall'altra - alla remunerazione degli investimenti.
La legge finanziaria 2010, all'articolo 2, comma 195, ha quindi introdotto, con due modifiche all'art. 8-duodecies del decreto legge n. 59/2008, alcune modifiche alla nuova disciplina sulle concessioni autostradali. La prima modifica è volta ad estendere l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie con L'ANAS Spa fino alla data del 31 dicembre 2009, subordinatamente alla condizione che gli schemi recepiscano le raccomandazioni richiamate dalla delibera Cipe di approvazione. Sono fatti salvi gli schemi di convenzione già approvati alla data di entrata in vigore del citato DL 59/2008. La seconda modifica dispone che per le tratte autostradali in concessione con scadenza entro il 31 dicembre 2014, l'Anas S.p.A., entro il 31 marzo 2010, avvii le procedure ad evidenza pubblicaper l'individuazione dei nuovi concessionari.
L'articolo 3-ter del D.L. 135/2009 ha quindi introdotto alcune modifiche al comma 289 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2008 in materia di realizzazione e gestione di infrastrutture autostradali, volte a limitare la costituzione di società miste Anas-regioni da una parte, alla sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione e, dall'altra, alle sole funzioni di concedente escludendo quelle di concessionario. Sono fatti salvi i poteri e le funzioni conferite ai soggetti pubblici già costituiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, per i quali trova applicazione il testo previgente del citato comma 289.
Da ultimo, l'articolo 47 del decreto legge n. 78 del 2010 ha modificato la normativa sull'approvazione delle concessioni autostradali, differendo al 31 luglio 2010 il termine per la loro approvazione ex lege, in luogo della procedura ordinaria nonché, mediante una norma di interpretazione autentica, avente quindi efficacia retroattiva, prevedendo che il mancato adeguamento dei concessionari alle prescrizioni espresse dal Comitato interministeriale per la programmazione economica sui relativi schemi di convenzione, caduca l'approvazione ex lege delle convenzioni medesime, con la conseguenza che l'iter di approvazione ricomincia secondo le procedure ordinarie.

Il sistema di adeguamento tariffario
A seguito di una segnalazione AS 455 dell'Antitrust al Parlamento su possibili effetti negativi di tale norma in materia di concorrenza, si è svolto - presso la Commissione ambiente della Camera - un ciclo di audizioni, seduta del 3 dicembre 2008 e seduta del 16 dicembre 2008 , per verificare l'attuale stato del mercato delle concessioni autostradali. In tale occasione, l'Autorità ha affermato, con riferimento al sistema di adeguamento tariffario introdotto dalla nuova convenzione, che esso "non consente di ottimizzare i miglioramenti di produttività nella gestione della rete esistente, né di rivedere periodicamente la formula tariffaria al fine di redistribuire agli utenti gli eventuali benefici derivanti dai recuperi di produttività, i quali restano a vantaggio esclusivo del concessionario".
In proposito, si ricorda che nel corso dell'audizione presso la 13a Commissione del Senato seduta del 14 ottobre 2008 e seduta del 5 novembre 2008 il Presidente dell'Anas si è soffermato sui vantaggi della convenzione perfezionata con Autostrade per l'Italia e sulle nuove tariffe che - a suo avviso - risulterebbero più favorevoli per gli utenti, anche rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei. Su quest'ultimo punto analoghe considerazioni sono state svolte dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici alla Camera, secondo cui il nuovo meccanismo tariffario comporta in realtà un risparmio del 6% a fine quinquennio di regolazione.
Il nuovo sistema tariffario può essere esteso, su richiesta, a tutte le società concessionarie ai sensi del successivo art. 3 del decreto-legge 185/2008. Quest'ultimo, nel contesto della manovra anticrisi, ha inoltre introdotto un pacchetto di norme finalizzate al blocco e alla riduzione delle tariffe.

La disciplina dei rapporti fra ANAS e Ministero
L'art. 3 del D.L. 185/2008 prevede, infine, alcune modifiche all'art. 2 del decreto-legge 262/2006
con cui, nel corso della XV legislatura, era stato ridisegnato il rapporto dell'ANAS con le società concessionarie autostradali (si tratta in particolare, del regime relativo all'estinzione del rapporto concessorio e di una semplificazione delle procedure di approvazione delle variazioni tariffarie annuali).
Sempre con riferimento all'ANAS, si segnala che l'articolo 1-bis del decreto-legge162/2008 ha reso più flessibile la destinazione del canone ANAS a carico degli enti concessionari, prima vincolato alle attività di vigilanza e controllo sui concessionari medesimi.
Da ultimo, l'articolo 15, commi 1-5, del decreto legge n. 78 del 2010 ha previsto alcune modifiche al sistema di pedaggiamento autostradale:
• con riferimento alle autostrade e ai raccordi autostradali gestiti direttamente da ANAS s.p.a., si introduce un pedaggiamento, dapprima utilizzando i caselli delle concessionarie e, successivamente, attraverso un sistema di esazione di tipo free flow (a flusso libero); il DPCM attuativo di tale disposizione è stato peraltro annullato dal TAR Lazio, con una sentenza successivamente confermata dal Consiglio di stato. Con il comma 4 dell'art. 1 del D.L. 5 agosto 2010, n. 125 viene previsto che l'applicazione del pedaggiamento avvenga entro il 30 aprile 2011. Il successivo comma 5 disciplina la copertura finanziaria, pari ad 83 milioni di euro per l'anno 2010, necessaria a compensare il venir meno delle maggiorazioni tariffarie previste dal comma 2 dell'art. 15 del D.L. 78/2010;
• per le autostrade in concessione, è previsto l'aumento del canone che le concessionarie corrispondono all'ANAS.
Entrambe le misure sono finalizzate alla riduzione dei trasferimenti statali ad ANAS.

Le procedure di affidamento degli appalti
Infine, per accelerare le procedure di affidamento degli appalti per la realizzazione delle opere stradali, l'art. 29, co. 1-quinquies e 1-sexies, del decreto-legge 207/2008, ha eliminato l'obbligo per le concessionarie - introdotto dalla legge finanziaria 2007 - di effettuare gare d'appalto per tutti i lavori, autorizzando affidamenti diretti per il 60% dei medesimi.

26 settembre 2010

IL CERTIFICATO NOS

Il certificato NOS (Nulla Osta Segretezza) è disciplinato dal D.P.C.M. 7 giugno 2005 (e da ultimo dal D.P.C.M. 3 febbraio 2006) il quale, all’art. 2, prevede che il NOS "consente alla Pubblica amministrazione, alla ditta individuale, alla società, alla persona giuridica di diritto privato, all'ente, all'associazione, all'organismo, già legittimati alla trattazione di informazioni classificate, di poter impiegare una persona, in attività che comportano la necessità di trattare informazioni classificate «segretissimo» «segreto» o «riservatissimo»"
La Pubblica Amministrazione, le ditte individuali, le società, le persone giuridiche di diritto privato, gli enti, le associazioni e gli organismi legittimati alla trattazione di informazioni classificate definiscono, sulla base dei rispettivi ordinamenti interni ed esigenze funzionali, gli incarichi che comportano, ai fini del rilascio dei NOS, l’effettiva necessità di trattare informazioni classificate “Segretissimo” “Segreto” o “Riservatissimo”.
L’Autorità, ha statuito (parere n. 41 del 2 aprile 2009), che l’amministrazione appaltante non può prevedere il NOS come requisito di partecipazione alla procedura di gara in oggetto, determinando una siffatta richiesta una restrizione dell’accesso alla gara e, conseguentemente, una limitazione della concorrenza, ma, più correttamente, deve limitarsi a richiedere il predetto certificato come requisito di esecuzione del contratto, dal momento che esso attiene alla fase di svolgimento del contratto di appalto oggetto di affidamento. (Parere dell’AVCP n. 133 del 07/07/2010).

LE CAUSE DI ESCLUSIONE DI CUI ALLE LETTERE B) E C) DELL’ART. 38, COMMA 1

Le cause di esclusione di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, D.Lgs. n. 163/2006 operano sia con riferimento al titolare dell’impresa individuale o al socio della società in nome collettivo o al socio accomandatario della società in accomandita semplice o agli amministratori muniti di poteri di rappresentanza se si tratta di altro tipo di società, sia con riferimento ai direttori tecnici dei predetti soggetti. Ne deriva che “a norma dell’art. 38 del DLgs n. 163/06, per le società di capitali il prescritto possesso dei requisiti di moralità deve essere dimostrato sia dagli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, sia dai direttori tecnici, siano essi in carica o cessati nel triennio antecedente alla gara”(Tar Lazio, Sez. III-ter, sentenza n. 2805 del 23 febbraio 2010).
L’inesistenza delle cause di esclusione di cui al citato art. 38 può essere attestata mediante dichiarazione sostitutiva resa in conformità alle disposizioni del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (cfr. art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006).
Con determinazione n. 1 del 12 gennaio 2010 l’AVCP - consapevole delle oscillazioni di opinioni che si sono registrate sull’applicazione del citato art. 38 – ha confermato che sebbene l'obbligo di attestare l'insussistenza delle cause interdittive di cui all’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 riguarda gli operatori economici, tuttavia, la dichiarazione sostitutiva deve essere rilasciata anche dai soggetti indicati dalla disposizione richiamata (direttori tecnici, amministratori muniti di poteri di rappresentanza, soggetti cessati dalla carica nell'ultimo triennio) (cfr. pareri dell'Autorità n. 11 del 20 settembre 2007 e n. 237 del 5 novembre 2008).
La determinazione, inoltre, - in relazione all'ipotesi di cui alla lettera c) dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, ma deve ritenersi che il principio valga anche per la fattispecie di cui alla lettera b) – ha precisato con riguardo ai soggetti cessati dalla carica che, ai sensi dell'art. 47, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale rappresentante è consentito produrre una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà "per quanto a propria conoscenza", specificando le circostanze che rendono impossibile (ad esempio, in caso di decesso) o eccessivamente gravosa (ad esempio, in caso di irreperibilità o immotivato rifiuto) la produzione della dichiarazione da parte dei soggetti interessati. Pertanto, ad eccezione di tali ipotesi, deve ritenersi che gli altri soggetti (direttori tecnici, amministratori muniti di poteri di rappresentanza, e soggetti cessati dalla carica nell'ultimo triennio, per i quali non ricorrano circostanze che rendono impossibile o eccessivamente gravosa la produzione della dichiarazione) siano tenuti a rendere personalmente la dichiarazione in questione, considerato che si tratta di soggetti che fanno parte della compagine dell'operatore economico concorrente e che non sussistono ostacoli in ordine all'acquisizione della loro autodichiarazione. In tali ipotesi, pertanto, non si rinvengono ragioni per ritenere che le autodichiarazioni personali debbano o possano essere sostituite da una dichiarazione che, in quanto sottoscritta dal legale rappresentante della concorrente, non può che avere ad oggetto circostanze relative a terzi e, quindi, è resa "per quanto a conoscenza" del dichiarante, con conseguente rischio per la stazione appaltante di acquisire informazioni inesatte o incomplete, seppure rese in buona fede (cfr. parere dell'Autorità n. 99 del 13 maggio 2010). [Parere n. 134 del 07/07/2010]

25 settembre 2010

GARANZIE A CORREDO DELL’OFFERTA

L’art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006, nel disciplinare le “Garanzie a corredo dell’offerta” prevede due distinte formalità di carattere garantistico a carico delle imprese: la prima è la c.d. garanzia provvisoria (commi 1-7 e 9), che è finalizzata a garantire l'impegno dell’aggiudicatario di sottoscrivere il contratto ed é automaticamente svincolata al momento della sottoscrizione del medesimo, mentre ai non aggiudicatari è restituita entro trenta giorni dall’aggiudicazione, e può assumere la forma di una cauzione o di una fideiussione, a scelta dell'offerente; la seconda è la c.d. garanzia definitiva (comma 8), che è destinata ad assicurare l’esecuzione del contratto e che dovrà essere prestata “qualora l'offerente risultasse affidatario”, per cui la sua compiuta disciplina è propriamente contenuta nell’art. 113 del D.Lgs. n. 163/2006, significativamente inserito nella parte dei principi concernenti l’esecuzione del contratto.
Si tratta, dunque, di due garanzie tra loro ben distinte e disciplinate da norme diverse, anche se entrambe definite garanzie a corredo dell'offerta.
Come già chiarito dall’Autorità (cfr. parere n. 186 del 12 giugno 2008), a fronte del tenore del comma 8 dell’art. 75 del medesimo D.Lgs. n. 163/2006, il quale prevede che “l’offerta è altresì corredata, a pena di esclusione, dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, di cui all’articolo 113, qualora l’offerente risultasse affidatario”, risulta evidente che tale impegno ha essenzialmente la funzione di garantire la stazione appaltante dalla mancata esecuzione del contratto da parte dell’aggiudicatario ed è propriamente volta a coprire gli oneri per il mancato o inesatto adempimento di tutte le obbligazioni comunque connesse al contratto d’appalto “e perciò anche di quelle che comportano prestazioni da parte dell’appaltatore nei confronti di terzi al cui adempimento l’amministrazione è comunque interessata sotto il profilo della tutela dell’interesse pubblico generale” (determinazione dell’Autorità n. 7 del 28 aprile 2004).

Proprio in considerazione della funzione della cauzione definitiva, prima dell'individuazione del soggetto affidatario dell’appalto, l’offerente non ha l’obbligo di prestare una vera e propria garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, ma solo quello di corredare l'offerta da un impegno di un fideiussore a rilasciarla. Infatti, solo l’esecutore del contratto è effettivamente obbligato, ai sensi dell’art. 113 del D.Lgs. n. 163/2006, a costituire la cauzione definitiva, per la quale, peraltro, la richiamata norma imperativa del Codice dei contratti pubblici determina puntualmente l’ammontare, fissandolo, in via ordinaria, al “10 per cento dell'importo contrattuale” , e stabilendo altresì che “In caso di aggiudicazione con ribasso d'asta superiore al 10 per cento, la garanzia fideiussoria è aumentata di tanti punti percentuali quanti sono quelli eccedenti il 10 per cento; ove il ribasso sia superiore al 20 per cento, l'aumento è di due punti percentuali per ogni punto di ribasso superiore al 20 per cento.”. La norma stessa, dunque, prevede ipotesi tipiche e tassative di innalzamento del parametro percentuale fissato per la garanzia definitiva, che non avrebbe senso stabilire se la misura base potesse determinarsi discrezionalmente da parte dei concorrenti o da parte della stazione appaltante (in tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. II, parere 19 febbraio 2003, n. 2222 reso su analoga disposizione contenuta nell’allora vigente art. 30 della legge n. 109/1994).

Conseguentemente, non possono essere inserite nel bando di gara previsioni diverse che possano contrastare con la disciplina di cui all’art. 113 del D.Lgs. n. 163/2006, che determina in via diretta e puntuale l’ammontare di tale garanzia. (Parere dell’AVCP n. 133 del 07/07/2010)

CERTIFICATI DI ESECUZIONE DEI LAVORI

Con determinazione n. 6 del 27 Luglio 2010, l’AVCP ha dato “indicazioni operative alle stazioni appaltanti e alle SOA in materia di controllo sui certificati di esecuzione dei lavori e sull'applicazione dell'art. 135, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale del 17 agosto 2010 n. 191).
L’art. 40, comma 3, lett. b), del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, prevede l’obbligo per le stazioni appaltanti di trasmettere copia dei certificati di esecuzione dei lavori all’Autorità la quale, per il tramite dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, li mette a disposizione delle Società Organismi di Attestazione (SOA) ai fini dell’assolvimento del compito di attestare nei soggetti qualificati l’esistenza, tra gli altri, dei requisiti tecnico organizzativi.
L’obbligo posto a carico delle stazioni appaltanti trova spiegazione nel sistema di controlli che, ai sensi del medesimo art. 40, comma 3, del Codice, impone alle SOA di verificare tutti i requisiti dell’impresa richiedente prima del rilascio dell’attestazione di qualificazione.
Pertanto – come chiarito dall’Autorità nel Comunicato n. 53 del 21.05.2008 – le SOA, prima di provvedere a rilasciare l’attestazione, debbono controllare la veridicità e la sostanza di tutta la documentazione prodotta dall’impresa richiedente; ciò al fine di evitare che vengano rilasciate valide attestazioni sulla base di presupposti erronei e/o falsi.
Con la determinazione 6/2010 si afferma che:
- le stazioni appaltanti sono obbligate, ai sensi dell’art. 40, comma 3, lett. b), del D.Lgs. 163/2006, a trasmettere all’Autorità copia dei certificati di esecuzione dei lavori rilasciati;
- le stazioni appaltanti sono obbligate, ai sensi dell’art. 135, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006, a controllare in maniera periodica il Casellario informatico dell’Autorità al fine di accertare eventuali intervenute dichiarazioni di decadenza delle attestazioni di qualificazione delle imprese appaltatrici per false dichiarazioni e, in caso di riscontro positivo, procedere alla risoluzione del contratto;
- le Società Organismi di Attestazione, ai sensi dell’art. 40, comma 3, del D.Lgs. 163/2006, qualora copia dei certificati di esecuzione dei lavori presentati dalle imprese ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione, ed emessi in data anteriore al 1° luglio 2006, non risulti inserita nell’Osservatorio presso l’Autorità, debbono invitare le stazioni appaltanti a controllare e confermare la veridicità di detti certificati di esecuzione dei lavori nel termine di 20 (venti) giorni dalla richiesta utilizzando la comunicazione-tipo allegata in calce alla presente, informandole altresì che il mancato tempestivo riscontro può comportare l’applicazione nei confronti della stazione appaltante della sanzione di cui all’art. 6, comma 11, del D.Lgs. 163/2006.
In relazione ai C.E.L. rilasciati successivamente alla data del 1° luglio 2006, le Società Organismi di Attestazione sono tenute altresì a segnalare all’Autorità il mancato invio di copia degli stessi da parte della stazione appaltante ai fini dell’adozione dei provvedimenti sanzionatori.

20 settembre 2010

SESTO QUINTO

L'art. 10, commi 2 e 3 del Capitolato Generale disciplina il cosiddetto quinto d'obbligo disponendo che: "Per le sole ipotesi previste dall'articolo 25, comma 1, della legge, la stazione appaltante durante l'esecuzione dell'appalto può ordinare una variazione dei lavori fino alla concorrenza di un quinto dell'importo dell'appalto, e l'appaltatore è tenuto ad eseguire i variati lavori agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario, salva l'eventuale applicazione dell'articolo 134, comma 6, e 136 del Regolamento, e non ha diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo ai nuovi lavori".
Quando, invece, la variante (sempre che rientri nelle tipologie prima viste) superino l'importo del quinto (di qui la definizione di sesto quinto) il responsabile del procedimento ne dà comunicazione all'appaltatore che, nel termine di dieci giorni dal suo ricevimento, deve dichiarare per iscritto se intende accettare la prosecuzione dei lavori e a quali condizioni; nei 45 giorni successivi al ricevimento della dichiarazione la stazione appaltante deve comunicare all'appaltatore le proprie determinazioni. Qualora l'appaltatore non dia alcuna risposta alla comunicazione del responsabile del procedimento si intende manifestata la volontà di accettare la variante agli stessi prezzi, patti e condizioni del contratto originario. Se la stazione appaltante non comunica le proprie determinazioni nel termine fissato, si intendono accettate le condizioni avanzate dall'appaltatore.
Il limite del quinto, dunque, non costituisce una soglia oltre la quale la stazione appaltante non può introdurre variazioni al progetto: esso, piuttosto, costituisce una soglia superata la quale, e purché la variante rientri in una delle tipologie prima descritte, l'appaltatore ha la facoltà di non adempiere quanto disposto dalla pubblica amministrazione e di recedere dal contratto.
In sostanza, quando ricorrano le ipotesi che legittimano una variante, l'appaltatore ha l'obbligo di eseguire le maggiori prestazioni richieste dall'amministrazione. Questo "diritto potestativo di imporre, fino all'ultimazione dei lavori, modifiche della loro quantità e/o qualità è soggetto alla condizione (rispondente ad una previsione di tollerabilità da parte dell'appaltatore) che tali variazioni non comportino aumenti superiori al quinto dell'originario corrispettivo. Sorpassato questo limite (del 20% dell'importo originario) la posizione dell'appaltatore non è più qualificabile in termini di soggezione, a fronte del diritto potestativo del committente pubblico, ma si riappropria dei suoi contenuti di autonomia negoziale, per cui egli -a fronte della richiesta dell'amministrazione- è libero di scegliere se recedere dal contratto oppure proseguire i lavori, dichiarando per iscritto se intende accettare la prosecuzione dei lavori e a quali condizioni" (Corte Suprema di Cassazione, I Sez. Civile, sentenza 14 giugno 2000, n. 8094).
Ai fini della determinazione del quinto (art. 10, commi 4 e 5 D.M. 145/2000), l'importo dell'appalto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell'importo degli atti di sottomissione per varianti già intervenute, nonché dell'ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio, eventualmente riconosciuti all'appaltatore ai sensi dell'articolo 31-bis della legge e dell'articolo 149 del Regolamento. La disposizione non si applica nel caso di variante per errori o omissioni del progetto esecutivo.
Nel calcolo non sono tenuti in conto gli aumenti, rispetto alle previsioni contrattuali, delle opere relative a fondazioni.
Tuttavia, ove tali variazioni rispetto alle quantità previste superino il quinto dell'importo totale del contratto e non dipendano da errore progettuale, l'appaltatore può chiedere un equo compenso per la parte eccedente.
Ferma l'impossibilità di introdurre modifiche essenziali alla natura dei lavori oggetto dell'appalto, il comma 6 dello stesso articolo dispone che, qualora le variazioni comportino, nelle quantità dei vari gruppi di lavorazioni comprese nell'intervento ritenute omogenee secondo le indicazioni del capitolato speciale, modifiche tali da produrre un notevole pregiudizio economico all'appaltatore è riconosciuto un equo compenso, comunque non superiore al quinto dell'importo dell'appalto. Si considera notevolmente pregiudizievole la variazione della quantità del singolo gruppo che supera il quinto della corrispondente quantità originaria e solo per la parte che supera tale limite.
In caso di dissenso sulla misura del compenso è accreditata in contabilità la somma riconosciuta dalla stazione appaltante, salvo il diritto dell'appaltatore di formulare la relativa riserva per l'ulteriore richiesta.

19 settembre 2010

MODALITÀ DI DIMOSTRAZIONE DEL POSSESSO DEI REQUISITI DI CAPACITÀ TECNICO-ORGANIZZATIVA SECONDO L'ART. 66 DEL D.P.R. N. 554/1999

Secondo l'art. 66 del D.P.R. n. 554/1999, i requisiti economico finanziari e tecnico organizzativi sono individuati, tra l'altro, con riguardo: 1) all'avvenuto espletamento negli ultimi dieci anni di servizi di cui all'articolo 50, relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo globale per ogni classe e categoria variabile tra 2 e 4 volte l'importo stimato dei lavori da progettare; 2) all'avvenuto svolgimento negli ultimi dieci anni di due servizi di cui all'articolo 50, relativi ai lavori, appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo totale non inferiore ad un valore compreso fra 0,40 e 0,80 volte l'importo stimato dei lavori da progettare.
Sul punto l'Autorità si è espressa (cfr. Deliberazione n. 385/2001, parere n. 16/2008) sostenendo, in accordo con l'orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato n. 2464/2006), che i requisiti di cui all'art. 66 D.P.R. n. 554/1999 possono essere dimostrati con riferimento a tutte quelle attività che sono previste dall'art. 50 del medesimo decreto, che la norma espressamente richiama, e che pertanto ai fini della dimostrazione della specifica esperienza pregressa, anche per i cosiddetti "servizi di punta", non è richiesto che si attesti l'avvenuto espletamento di servizi identici a quelli da affidare ma, di aver svolto due servizi, appartenenti ad ognuna delle classi e categorie cui si riferiscono i lavori da affidare, per un valore proporzionalmente rapportato all'importo stimato dei suddetti lavori. (in questo senso cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 3 maggio 2006, n. 2464).
Il legislatore, infatti, nell'individuare quali indici di riferimento per la dimostrazione dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, i "servizi di cui all'art. 50", ha inteso riferirsi alla totalità dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria espletati in precedenza, in quanto obiettivo della norma non era dettare un criterio di valutazione del concorrente circa la sua minore o maggiore capacità rispetto allo svolgimento del servizio oggetto dell'appalto (ciò avverrà in un momento successivo e distinto rispetto alla fissazione dei requisiti di partecipazione alla gara). Inoltre, nel dettare la disciplina in materia di servizi di architettura e di ingegneria, stante il carattere omogeneo di tali servizi, il legislatore li ha sempre trattati in maniera unitaria, riferendosi ai servizi in questione in modo omnicomprensivo. (Cfr. Deliberazione 10 ottobre 2006 n. 74).
Una diversa interpretazione della normativa richiamata, che portasse a considerare solo i servizi aventi natura identica a quello oggetto della gara si porrebbe del resto in netto contrasto con i principi di libera concorrenza e massima partecipazione dei concorrenti alle gare, limitando oltre il ragionevole l'entrata nel mercato di nuovi imprenditori. (Parere dell’AVCP n. 97 del 13/05/2010).

CRITERIO DI VALUTAZIONE RELATIVO AL MERITO TECNICO

In relazione al criterio di valutazione del merito tecnico prescelto dalla stazione appaltante, con l'attribuzione di un punteggio in relazione alla "professionalità" si verrebbe a realizzare una commistione tra elementi di valutazione dell'offerta e requisiti soggettivi di partecipazione. Sulla questione l'Autorità si è più volte pronunciata (cfr. Deliberazione 27 giugno 2007 n. 209; Deliberazione n. 30/2007,) sostenendo che "la Stazione Appaltante nell'individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara, con gli elementi di valutazione dell'offerta. Detta confusione, infatti, come anche di recente evidenziato dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Comunitarie del 1marzo 2007, si pone in conflitto con la normativa comunitaria e nazionale".
Nel confermare detto principio, lo stesso non può essere disgiunto da una valutazione specifica del caso concreto.
Occorre evidenziare, infatti, che il divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell'offerta e i requisiti soggettivi dell'impresa concorrente, conosce un'applicazione per così dire"attenuata" nel settore dei servizi, in quanto si ritiene, come sostenuto anche da un recente e condivisibile orientamento giurisprudenziale, che, laddove l'offerta tecnica non consista in un progetto o in un prodotto ma si sostanzi invece in una attività, un facere, la stessa ben potrà essere valutata anche sulla base di criteri quali la pregressa esperienza e la professionalità così come emergenti dai curricula professionali dei componenti il gruppo di lavoro (in tal senso cfr. anche il recente parere dell’Autorità n. 5/2010).
E' legittimo dunque che la stazione appaltante preveda l'attribuzione di specifici punteggi in relazione all'esperienza e alla qualifica professionale, e che l'aver espletato in passato servizi analoghi a quello oggetto della gara possa essere valutato quale indice di affidabilità e dunque della qualità stessa dell'offerta tecnica. Nel caso di affidamento di incarichi di Direzione Lavori e Coordinamento delle sicurezza in fase di esecuzione, elementi quali la composizione e l'organizzazione del gruppo di lavoro nonché le esperienze pregresse dei singoli professionisti risultano indubbiamente indici significativi della qualità della prestazione, direttamente riconducibili a caratteristiche oggettive dell'offerta stessa e dunque adatti a porsi quali parametri di valutazione relativi al merito tecnico, purché tali aspetti non risultino preponderanti nella valutazione complessiva dell'offerta.
La possibilità di valutare, in sede di individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le pregresse esperienze professionali, incontra infatti il limite del peso concretamente attribuibile in termini di punteggio a tali elementi; l'apprezzamento del merito tecnico che è deducibile dalla valutazione dei curricula professionali è infatti solo uno degli elementi valutabili e pertanto non può assumere un rilievo eccessivo (in tal senso cfr.: Cons. di Stato, sez. V, 2 ottobre 2009, n.6002; Cons. di Stato, sez.VI, 18 settembre 2009, n.5626; Cons. di Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n.3716; Cons di Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n.2770).
Nel caso di specie, il Disciplinare di gara predisposto dalla stazione appaltante prevedeva l'assegnazione di un massimo di venticinque punti in relazione alla "professionalità" così articolati: fino ad un massimo di cinque punti in relazione ai "requisiti dell'affidatario"; fino ad un massimo di cinque punti in relazione ai "requisiti del Coordinatore della Sicurezza"; fino ad un massimo di quindici punti in relazione alla "specifica competenza del Direttore dei Lavori nel campo delle strutture in zona sismica nel settore delle opere marittime e nella direzione lavori di interventi analoghi". (Parere dell’AVCP n. 97 del 13/05/2010).

16 settembre 2010

LA MANCATA CONSEGNA DEL PLICO NEI TERMINI STABILITI DAL BANDO DI GARA

Nelle procedure ad evidenza pubblica il rispetto delle regole di gara non riguarda soltanto i concorrenti, ma vincola anche la stazione appaltante.
Questo principio è stato più volte ribadito dal giudice amministrativo: “Le prescrizioni contenute nel bando di gara e nella lettera di invito costituiscono la "lex specialis" della gara e vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione, alla quale non rimane alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, non potendo nemmeno disapplicarle” (Consiglio Stato , sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5367).
Il principio deve essere applicato anche in riferimento al rispetto dei termini per la presentazione delle offerte da parte dei concorrenti.
Sul punto, da tempo il Consiglio di Stato ha chiarito che “il termine di presentazione delle offerte è inderogabile, per cui non può essere disatteso, pena altrimenti la violazione del principio fondamentale della par condicio” (Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 1995, n. 130).
Per cui se il plico è consegnato oltre il termine previsto dal bando di gara, il concorrente deve essere escluso.
Può però accadere che il soggetto incaricato della consegna (sia esso il servizio postale, un corriere od un incaricato del concorrente) non riesca a rispettare il termine, per cause a lui non imputabili. Il ritardo dipende, quindi, da cause non imputabili al concorrente
Per eccezionali casi di forza maggiore il plico può essere consegnato tardivamente, come precisano i giudici amministrativi, ma si deve trattare di ipotesi oggettive, non imputabili in alcun modo al concorrente (o suo incaricato alla consegna): “Le motivazioni addotte da una impresa a sostegno del ritardo nella consegna dell’offerta, relativamente a presunti problemi di parcheggio e dell'ascensore, non possono integrare quella causa di forza maggiore che sola sarebbe - in teoria - idonea a giustificare il ritardo, ma che dovrebbe essere nondimeno tale da impedire in maniera assoluta, e soprattutto per tutti i concorrenti, il rispetto del termine di presentazione delle offerte” (Consiglio di stato , sez. V, 10 aprile 2002, n. 1960).

REVOCA DEL BANDO E ATTI SUCCESSIVI

Fin quando non intervenga l'aggiudicazione definitiva di una gara (che segna il sorgere di una posizione di diritto soggettivo perfetto in capo all'impresa aggiudicataria) rientra nella potestà discrezionale della stazione appaltante disporre la revoca del bando di concorso e degli atti successivi, secondo gli ordinari canoni della autotutela, qualora vi siano concreti motivi d'interesse pubblico, tali da rendere inopportuna la prosecuzione della gara (ex multis, C.d.S., sez. V, 19 maggio 1998, n. 633).

15 settembre 2010

IL GIUDIZIO SULLA GRAVITÀ DEL REATO

Parere dell’AVCP n. 123 del 16/06/2010
Il giudizio sulla gravità del reato, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 163/2006 è rimesso solo e soltanto all’amministrazione committente.
Al riguardo, è stato più volte rilevato, sia dall’AVCP sia dalla giurisprudenza amministrativa, che la mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa in esame lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante, che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie (cfr., da ultimo, parere n. 1 del 14 gennaio 2010 e Consiglio di Stato, Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3773).
Parimenti, occorre riaffermare, sempre in termini di principio, che la dichiarazione di assenza di carichi penali, poi invece risultanti dai controlli effettuati dall’Amministrazione integra un’autonoma causa di esclusione dalla gara (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12 aprile 2007, n. 1723). Infatti, solo con riferimento a specifiche ipotesi di estrema genericità delle clausole della lex specialis che richiedono la dichiarazione di non trovarsi in una delle situazioni che sono causa di esclusione dalla gare, una parte della giurisprudenza, richiamata anche dalla mandante [omissis]., ha ritenuto giustificata una valutazione di gravità /non gravità compiuta dal concorrente, sostenendo che, in tal caso, la dichiarazione omissiva dello stesso non possa essere ritenuta “falsa”.
Le affermazioni di principio richiamate sono state ribadite dal Consiglio di Stato con la sentenza del 2 febbraio 2010 n. 428 (Sezione Quinta). In tale pronuncia è stato, tra l’altro, evidenziato come non possa ritenersi sussistente una oggettiva oscurità delle clausole del bando – che giustificherebbe la possibilità di non ritenere “falsa” la dichiarazione omissiva – laddove, “il bando o la lettera di invito richiamino espressamente una norma di legge imperativa (quali sono pressoché tutte quelle che regolano le procedure ad evidenza pubblica) perché in questo caso è onere del concorrente andare a verificare che cosa quella norma prevede e regolarsi di conseguenza”.
In proposito, il giudice amministrativo ha ulteriormente messo in evidenza che, nella specie, “la norma di riferimento è costituita dal combinato disposto fra gli artt. 38, comma 1, lett. c) e 38, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006”. Come è noto al comma 1, lett. c) del richiamato art. 38 il Legislatore ha previsto, quale causa di esclusione, l’essere stato il concorrente condannato per reati gravi che incidono sulla moralità professionali, indicando di seguito alcuni reati per i quali tale incidenza sia presente iuris et de iure, fatti salvi gli effetti della riabilitazione. Al comma 2 del predetto art. 38, invece, si stabilisce che il concorrente, nella dichiarazione sostitutiva resa in conformità alle disposizioni del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, deve indicare “anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione”. Tale disposizione, quindi, stabilisce espressamente l’obbligo di dichiarare tutte le condanne subite (salvo che non sia intervenuta la riabilitazione), essendo la valutazione della loro incidenza rimessa alla stazione appaltante. Sotto quest’ultimo profilo, pertanto, nessuna oscurità esiste nella legge e, quindi, neanche nel bando o nella lettera di invito (la lex specialis) che la legge richiamino.

REATI CHE INCIDONO SULLA MORALITÀ PROFESSIONALE

Parere dell’AVCP n. 124 del 7/07/2010.
Una indicazione esemplificativa sulla individuazione dei “reati che incidono sulla moralità professionale” è stata offerta dall’AVCP con determinazione n. 56 del 13 dicembre 2000 in sede di chiarimenti in merito ai criteri cui devono attenersi le SOA nella loro attività di attestazione della qualificazione (ai sensi degli artt. 17 e 18 del D.P.R. n. 34/2000). A tale riguardo, è stato disposto che “i reati che incidono sulla moralità professionale (articolo 17, comma 1, lettera c), del D.P.R. 34/2000) devono intendersi, concordemente con quanto indicato dal Ministero LL.PP. nella circolare 1 marzo 2000 n. 182/400/93, quelli contro la pubblica amministrazione (libro secondo, titolo II, del codice penale), l'ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale), la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale), il patrimonio (libro secondo, titolo XIII, del codice penale) e, comunque, quelli relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto”.
La precedente disamina consente, dunque, di individuare la ratio della causa di esclusione sancita dal legislatore nella prima parte dell’art. 38, comma 1, lettera c), nonché i caratteri differenziali rispetto alla successiva previsione del medesimo testo normativo, che elenca specificamente i reati di partecipazione ad organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio. Tali ultime fattispecie di reato, infatti, sono state recepite dalle norme nazionali interne, per espresso rinvio agli atti comunitari, e sono state collocate in un elenco tassativo di cause di esclusione che non lascia alcuno spazio di apprezzamento discrezionale alla singola amministrazione appaltante (cfr. determinazione n. 1 del 12 gennaio 2010). Le altre situazioni richiamate per la possibile incidenza sulla moralità professionale, vengono, invece, in considerazione quali fattispecie non tassative, la cui rilevanza, ai fini dell’esclusione dalla gara, deve essere valutata dalla singola stazione appaltante sulla base di un’ampia serie di elementi che, nel concreto, abbiano caratterizzato la singola fattispecie e che siano suscettibili di incidere sulla fiducia contrattuale.
E’ da escludersi, pertanto, almeno in linea teorica, l’equivalenza ed eventuale sovrapponibilità delle due previsioni del citato art. 38, comma 1, lett. c); diversamente opinando, si renderebbe sostanzialmente inutile la seconda parte dell’art. 38, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 163/2006 che, come sopra chiarito, è invece frutto di recepimento, da parte del diritto nazionale, di specifiche fattispecie di reato per espresso rinvio agli atti comunitari.

14 settembre 2010

I CONSORZI

Come chiarito dell’AVCP con la determinazione del 9 giugno 2004, n. 11 e come confermato con la deliberazione del 13 dicembre 2006, n. 114 e con il parere n. 158 del 17 dicembre 2009, successivi all’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, oltre ai “consorzi fra società cooperative” e ai “consorzi tra imprese artigiane” (art. 34, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 163/2006) che fanno parte dei soggetti singoli con idoneità e personalità giuridica individuale, il vigente ordinamento prevede la possibilità di partecipare alle gare di appalto per altri due tipi di consorzi. Il primo appartiene alla categoria dei soggetti singoli o con idoneità individuale, definito dalla legge “consorzio stabile” (art. 34, comma 1, lett. c) e art. 36 del D.Lgs. n. 163/2006), formato da non meno di tre consorziati che abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa, mentre il secondo appartiene alla categoria dei soggetti plurimi o con idoneità plurisoggettiva, definito dalla legge “consorzio ordinario di concorrenti” costituito ai sensi dell’art. 2602 c.c. (art. 34, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 163/2006), al quale si applicano le disposizioni di cui all’art. 37 dello stesso Codice dettate per i raggruppamenti temporanei di imprese e che, per la sua assimilazione all’associazione temporanea nonché per distinguerlo dal primo tipo, è definibile “consorzio occasionale”.
Proprio in virtù di tale diversa struttura, la legge prevede solo per i soggetti singoli con idoneità e personalità giuridica individuale la possibilità di partecipare ad una gara per conto solo di alcuni dei consorziati, essendo tale possibilità espressamente prevista per i consorzi di cooperative e per i consorzi artigiani dall’art. 37, comma 7 del D.Lgs. n. 163/2006: “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre” e per i consorzi stabili dall’art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 163/2006: “i consorzi stabili sono tenuti ad indicare in sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre”.
Da ciò discende che le dichiarazioni sostitutive relative al possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 devono essere rese solo dalle società consorziate per conto delle quali il consorzio dichiara di concorrere.
Come affermato dal Consiglio di Stato (sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507) - in un caso riguardante un consorzio di cooperative, per il quale, come si è visto, la legge prevede espressamente la possibilità di partecipare ad una gara solo per conto di alcune consorziate, proprio in ragione della struttura permanente di tale tipo di consorzio, analogamente a quanto accade per i consorzi stabili - il possesso dei requisiti generali di partecipazione alla gara d’appalto, relativi alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell’ordine pubblico, quello economico, nonché della moralità, va verificato non solo in capo al consorzio ma anche alle singole imprese “designate quali esecutrici del servizio”. Diversamente opinando, la normativa sui consorzi finirebbe per tradursi oggettivamente in uno strumento idoneo a consentire – mediante aggregazione in forma consortile di società prive dei requisiti di legge per la partecipazione alle gare e confluenti in un distinto soggetto dotato di esigua struttura ed (esso solo) in regola con detti requisiti – l’aggiramento di inderogabili prescrizioni normative discendenti dai principi generali delle procedure ad evidenza pubblica.
Se dunque non è sufficiente la dichiarazione circa il possesso dei requisiti generali in capo al solo consorzio, detta dichiarazione non è tuttavia richiesta per tutte le consorziate che non vengano designate quali esecutrici dell’opera oggetto dell’appalto.
Tale principio è stato confermato dal Consiglio di Stato (sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3765; sez. V, 5 settembre 2005, n. 4477) che, in entrambi i casi, ha annullato l’ammissione alla gara di un consorzio che non aveva documentato il possesso dei requisiti generali di partecipazione alla gara anche in capo alle imprese consorziate “quali esecutrici del servizio”, affermando che la possibilità che il consorzio rappresenti un centro autonomo di responsabilità e di imputazione delle attività svolte non implica che la stessa unitarietà debba valere nei casi in cui il consorzio non venga in rilievo quale centro autonomo di imputazione ma per la qualità dei soggetti che vi partecipano.
Ad analoghe conclusioni sono giunte, sempre in relazione a consorzi di cooperative, le sentenze del TAR Lazio del 1 settembre 2003, n. 7195 e del TAR Sicilia del 14 giugno 2003, n. 1008.
Tale principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato (sez. IV, 21 aprile 2008, n. 1778 e 7 aprile 2008, n. 1485) anche rispetto ai consorzi stabili, in un caso in cui il consorzio aveva individuato uno specifico consorziato per l’esecuzione dell’appalto ma si era riservato di affidare l’esecuzione in parola anche alle altre imprese consorziate, con ciò dovendo necessariamente attestare e documentare che tutte le predette imprese fossero in possesso dei requisiti richiesti per l’esecuzione contrattuale. (Parere dell’AVCP n. 91 del 13/05/2010)

RINNOVAZIONE INTEGRALE DELLE OPERAZIONI DI GARA

Parere dell’AVCP n. 124 del 7/07/2010. Quanto all’ammissibilità del riesame da parte della Commissione di gara del procedimento già espletato, nelle more del provvedimento di aggiudicazione definitiva, l’AVCP in una recente pronuncia ha ritenuto, in conformità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, “che la commissione di gara sia titolare di un autonomo potere di autotutela decisoria, sostenendo che la stessa possa riesaminare il procedimento di gara già espletato, riaprendolo per emendarlo da errori commessi e da illegittimità verificatesi, anche in relazione all’eventuale illegittima ammissione o esclusione dalla gara di un’impresa concorrente” (cfr.: parere n. 74 del 9 luglio 2009 e, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5360).
In ogni caso, peraltro, la stessa amministrazione appaltante dispone di tale facoltà; secondo la giurisprudenza, infatti, “è jus receptum e condivisibile l’assunto per cui la stazione appaltante, senz’altro fino all’aggiudicazione definitiva (ma, per taluna giurisprudenza anche dopo tale momento) ben può (e, anzi, deve) rilevare eventuali errori compiuti nel corso della procedura e provvedere ad emendarli riportando il procedimento entro un alveo di rigorosa legittimità. L’unico limite che incontra questo potere-dovere di autocontrollo della legalità della propria azione è costituito dalla manifesta sproporzione tra il rilievo e l’entità del vizio riscontrato (che non deve essere solo formale e minimo) e le conseguenze pregiudizievoli sulla par condicio tra i concorrenti e sull’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa” (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 18 febbraio 2005, n. 1169).

Ciò premesso, occorre stabilire se, nel caso specifico, si renda o meno necessaria la rinnovazione integrale delle operazioni di gara – e precisamente della presentazione delle offerte. In proposito si rileva che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 9 giugno 2008, n. 2843) la questione della rinnovazione delle operazioni di gara in caso di esclusione di un concorrente deve essere risolta operando un bilanciamento tra il principio generale della conservazione degli atti e quelli specifici della materia.
In quest’ottica il giudice amministrativo distingue tra le ipotesi in cui l’aggiudicazione avviene con criteri matematici, come nel caso di utilizzo del criterio del prezzo più basso, e quelle in cui la stessa avviene riconoscendo alla Commissione poteri valutativi discrezionali, come nel caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nella prima ipotesi, proprio perché l’aggiudicazione avviene con un procedimento di tipo automatico che non implica valutazioni discrezionali, la giurisprudenza ritiene che non sia necessario disporre la rinnovazione integrale della procedura (con la riapertura, cioè, della stessa fase di presentazione delle offerte), ma si possa legittimamente disporre la rinnovazione solo della fase dell’esame comparativo delle offerte pervenute, ancorché già conosciute dalla Commissione.
Solo nell’ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa si sostiene la necessità della ripresentazione delle offerte, ponendosi in tale specifica circostanza l’effettiva esigenza di garantire la segretezza delle offerte stesse. Né può tenersi conto al riguardo se il concorrente, anziché formulare l’offerta in funzione di una seria valutazione tecnico-economica sui propri costi operativi – come sarebbe doveroso – abbia formulato l’offerta in funzione del numero dei concorrenti ammessi.

ADEGUATEZZA DEI TERMINI DI RICEZIONE DELLE OFFERTE

Riguardo all’adeguatezza dei termini fissati dalla stazione appaltante nella lex specialis a garantire la partecipazione alla procedura di gara degli operatori economici interessati a presentare offerta, si rileva che, nel caso di una procedura aperta per l’affidamento di un appalto di lavori di importo sotto soglia e inferiore a cinquecentomila euro, trova applicazione il comma 6, lett. a), ultimo periodo dell’art. 122 del Codice dei contratti pubblici, secondo il quale il termine di ricezione delle offerte – decorrente dalla pubblicazione del bando nell’albo pretorio del Comune ove si eseguono i lavori, ai sensi del comma 5, terzo periodo del medesimo articolo 122 – “non può essere inferiore a ventisei giorni”. Inoltre, trova applicazione alla fattispecie il comma 1 dell’articolo 70, in tema di regole generali sulla fissazione dei termini, secondo il quale “nel fissare i termini per la ricezione delle offerte e delle domande di partecipazione, le stazioni appaltanti tengono conto della complessità della prestazione oggetto del contratto e del tempo ordinariamente necessario per preparare le offerte, e in ogni caso rispettano i termini minimi…”..

12 settembre 2010

LA COMMISSIONE DI GARA COSTITUISCE UN COLLEGIO PERFETTO

La Commissione giudicatrice di gare di appalto costituisce un collegio perfetto che, per la determinazione dei criteri di valutazione e di giudizio, nonché per le decisioni conclusive, fasi rispetto alle quali si configura l'esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, deve operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti, intendendosi per plenum quello risultante dalla composizione fissata nel provvedimento di nomina della Commissione (Cons. Stato, VI Sez., n. 6875/2000; n. 566/82 e n. 182/91; V Sez., n. 1392/92 e 83/81). Invero, le operazioni delle Commissioni di gare di appalto devono essere svolte dal plenum e non possono essere delegate a singoli membri o a sottocommissioni, soprattutto per quel che riguarda le attività propriamente valutative (quale la valutazione delle offerte), potendosi al più consentire la deroga al principio di collegialità per le attività preparatorie, istruttorie o strumentali vincolate (Cons. Stato, IV Sez. n. 3819/2000; VI Sez., n. 6857/2000 cit.; V Sez., n. 1392/92; IV Sez. n. 13/99; V Sez., n. 220/89) fermo restando che restano riservate all'intero collegio le attività implicanti valutazioni di carattere tecnico discrezionale. (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 novembre 2002, n. 6194)

LA COMMISSIONE DI GARA DEVE APRIRE PRIMA LE OFFERTE TECNICHE O LE OFFERTE ECONOMICHE?

La giurisprudenza amministrativa ha precisato che incorre in una violazione di legge la Commissione giudicatrice che, in sede di apertura delle buste, procede alla valutazione delle offerte economiche prima delle offerte tecniche.
Il principio tutelato è infatti quello di garantire la regolarità e la trasparenza della gara: “Il rispetto dei generalissimi ed inderogabili principi della par condicio tra i concorrenti e del regolare, trasparente ed imparziale svolgimento della gara esige che sia garantita l'assoluta segretezza delle offerte economiche fintanto che non siano state valutate l'ammissibilità dei partecipanti e le componenti tecnico-qualitative dell'offerta: tale rigoroso formalismo – che non tollera equipollenti – si spiega con l’esigenza di evitare che a seguito di un’indebita ed intempestiva conoscenza delle offerte economiche possano avanzarsi contestazioni per la concreta possibilità di prendere visione del contenuto della documentazione tecnica racchiusa nei plichi e di provvedere alla sua sostituzione “mirata”” (Consiglio di Stato, sez. VI – 10/7/2002 n. 3848).
In sostanza, una valutazione delle offerte economiche prima delle offerte tecniche porta i Commissari di gara ad una non serena valutazione delle offerte: “costituisce ordinario quanto inderogabile canone operativo, nelle pubbliche gare, necessario a garantirne la trasparenza, la massima obiettività nell'assegnazione dei punteggi e, in definitiva, la par condicio tra i concorrenti, quello per cui l'assegnazione dei punteggi tecnici deve precedere la conoscenza delle offerte economiche; poiché, altrimenti, conosciuti i punteggi relativi alle altre voci, nonché i contenuti delle offerte economiche e individuati, in base a criteri di automaticità, i punteggi correlati a queste ultime, la commissione valutatrice ben potrebbe, in astratto, modulare l'assegnazione del punteggio discrezionale di cui si tratta in modo da orientare l'esito definitivo della gara” (Cds, sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5735).
In particolare, nessun elemento economico può essere inserito nell’offerta tecnica senza che questo possa alterare la serenità di valutazione da parte dei Commissari di gara: “costituisce violazione degli essenziali principi della "par condicio" e di segretezza delle offerte – nella fase di valutazione dei requisiti tecnici – l'inserimento, da parte dell'impresa aggiudicataria, di elementi concernenti l'offerta economica all'interno della busta contenente l'offerta tecnica, in quanto la commistione così introdotta tra profilo tecnico ed economico è di per sè idonea ad introdurre elementi perturbatori della corretta valutazione da parte della Commissione di gara” (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II – 15/10/2001 n. 751).
Nel caso in cui un concorrente inserisca nella busta destinata a contenere la documentazione amministrativa un piano finanziario ed un riepilogo da cui risulta l'offerta economica, “viola i principi posti a tutela della correttezza delle gare e, in primis, quelli della segretezza dell'offerta e dell'imparzialità” (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II – 13/6/2003 n. 3977).
Secondo il Consiglio di Stato questa regola va applicata in modo rigoroso alle procedure di aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nelle quali ampio spazio è rimesso alla discrezionalità tecnica della stazione appaltante nella valutazione di elementi e parametri ulteriori rispetto a quello meramente automatico del prezzo più basso, poichè “in tale contesto procedimentale – caratterizzato da un elevato margine di apprezzamento nell’attribuzione dei punteggi ai molteplici elementi costitutivi dell’offerta – il principio di segretezza risponde all’esigenza, ancora più avvertita, di evitare sospetti di parzialità a favore dell’impresa della cui offerta economica si sia presa cognizione, poiché in base al suo scostamento dal prezzo base indicato dall’amministrazione nel bando si potrebbe intraprendere un intervento “compensativo” teso a far recuperare, con un punteggio più elevato riservato agli elementi non matematici, l’eventuale minore convenienza dell’offerta medesima” (Consiglio Stato, sez. II – 30/4/2003 n. 1036).

LA COMMISSIONE DI GARA

La commissione di gara pubblica è un organo straordinario e temporaneo dell'amministrazione aggiudicatrice, per svolgere compiti di natura essenzialmente tecnica, con funzione preparatoria e servente rispetto all'amministrazione appaltante. Essa ha, quindi, la specifica funzione di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti, per l'individuazione del miglior contraente possibile. Stante questa connotazione, la sua attività, che si concreta nella cosiddetta aggiudicazione provvisoria, acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita ed approvata dagli organi competenti della predetta amministrazione, e cioè con l'aggiudicazione definitiva. Ciò comporta che, fino a quando tale approvazione non è intervenuta, la commissione può riesaminare, in autotutela, il procedimento di gara già espletato, anche riaprendo la gara ed ammettendo concorrenti, che erano stati illegittimamente esclusi, o viceversa. E' quanto affermato da una pronuncia del T.A.R. Campania (sez. Napoli VIII, n. 6860 del 20 luglio 2007), che ben può essere considerata come paradigmatica, in quanto sintetizza la natura ed i poteri della commissione di gara.