31 marzo 2011

L’ESPROPRIO DI AREA UBICATA IN FASCIA DI RISPETTO

In base al quadro normativo (articoli 37.4 e 32.1 DPR 327/2001) e a quello giurisprudenziale (CASS 11830/2009, 8121/2009, 2810/2006, 2974/2006, ecc.), l’esproprio di area ubicata in fascia di rispetto deve liquidarsi con il criterio indennitario previsto per le aree inedificabili, essendo la fascia di rispetto una limitazione legale della proprietà di natura conformativa, che prevale, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, su un’eventuale sottostante zonizzazione edificabile.
La circostanza che la stessa area sia comunque computabile nella determinazione della volumetria o della superficie edificabile del lotto, non rende l'area medesima suscettibile di edificazione, restando pur sempre operante il divieto di costruire su di essa. In caso di esproprio parziale si deve tener conto del deprezzamento della residua parte (come prevede l’articolo 33 del DPR 327/2001). L’eventuale deprezzamento dipendente dallo spostamento nella proprietà residua della fascia di rispetto a causa dell’allargamento stradale, secondo la giurisprudenza prevalente, non va preso in considerazione, essendo appunto la fascia di rispetto un vincolo legale conformativo che cagiona un pregiudizio non indennizzabile (es. CASS 7269/2010, 3146/2006, 28459/2005, 26265/2005, ecc. contra, indirettamente, CASS 2740/2011, 3175/2008).
Per quanto riguarda il deprezzamento derivante dalla riduzione della superficie edificabile, quando non vi siano fasce di rispetto, il suo ristoro è ammesso in generale, finendo di solito per coincidere con la perdita della volumetria originariamente realizzabile sull’estensione espropriata (CASS 28817/2008, 24435/2006), salvo uno specifico e ulteriore danno all'area residua (ad es. quando per ragioni di distacchi o dimensioni la superficie residua perda la possibilità di essere trasformata: CASS 3175/2008).
Nel caso di esproprio di aree urbanisticamente edificabili ma ubicate in fascia di rispetto, e per questo indennizzate come agricole, il pregiudizio derivante dalla perdita di cubatura è stato considerato da alcune sentenze catturabile mediante il calcolo differenziale o complementare di cui all'art. 40 L. 2359/1865 – oggi art. 33 TUE, qualora la volumetria non possa essere recuperata sulla parte restante del terreno (CASS 21092/2005).

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25 marzo 2011

CODICE DEI CONTRATTI: MODIFICHE CON AFFIDAMENTI DIRETTI FACILITATI


Il testo che passa, ora, all'esame del Senato contiene diverse disposizioni tra cui:
  • misure per la lotta ai ritardi nei pagamenti alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni, anche attraverso il coinvolgimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
  • suddivisione degli appalti pubblici in lotti;
  • semplificazione dell'accesso alle gare per le aggregazioni tra pmi;
  • introduzione di modalità per il coinvolgimento nella realizzazione di grandi infrastrutture delle imprese residenti nei territori in cui sono localizzati gli investimenti;
  • istituzione presso le prefetture di elenchi di imprese e fornitori contenenti l'adesione da parte delle imprese a obblighi di trasparenza e tracciabilità dei flussi di denaro;
  • innalzamento da 500.000 a 1,5 mln di euro della soglia massima entro cui i lavori possono essere affidati con procedura negoziata;
  • innalzamento da 100.000 a 193.000 euro della soglia massima entro cui i servizi di architettura e di ingegneria possono essere affidati con le norme semplificate dettate dall’articolo 57, comma 6 del Codice;
In particolare, con un articolo aggiuntivo (art. 11-bis) vengono modificati gli articoli 91 comma 1, 122 comma 7-bis e 123 comma 1 del Codice dei contratti; in dettaglio le modifiche ai tre articoli prevedono:
con la modifica dell'articolo 91, viene innalzato, in pratica, l'originario importo da 100.000 euro a 125.000 euro per le amministrazioni centrali indicate nell’allegato IV del Codice ed a 193.000 euro per le altre amministrazioni rendendo possibile per tutte gli enti appaltanti diversi da quelli indicati nel citato allegato 4, l'affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria di importo a base di gara inferiore a 193.000 euro l'affidamento con le norme semplificate dettate dall'articolo 57, comma 6 del Codice; si tratta in pratica di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara con un invito rivolto ad almeno 5 soggetti;
con la modifica dell'articolo 122, viene innalzato l'originario importo di 500.000 euro a 1,5 milioni di euro rendendo possibile l'affidamento dei lavori con le norme semplificate dettate dall'articolo 57, comma 6 del Codice; si tratta in pratica di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara con un invito rivolto ad almeno 3 soggetti;
con la modifica dell'articolo 123, viene raddoppiato l'originario importo di 1 milione di euro a 2 milioni di euro rendendo possibile l'utilizzazione della procedura ristretta semplificata per l'appalto di lavori con l'invito di almeno 20 concorrenti.

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CASO IN CUI SIANO DICHIARATI REQUISITI SOVRABBONDANTI RISPETTO AI MINIMI

L'anomalia, riscontrata dalla Autorità nella prassi, è determinata dall'ingiustificato rigore con cui alcune stazioni appaltanti procedono, nel corso della procedura prevista dall' art. 48, alla valutazione delle dichiarazioni rilasciate dai concorrenti, sui requisiti sia di capacità tecnico - organizzativa che economico - finanziaria.
Le stesse, infatti, non limitano la verifica al raffronto tra i valori dei requisiti comprovati e quelli minimi richiesti nel bando di gara, ma eccepiscono la non perfetta corrispondenza fra quanto dichiarato dai concorrenti, in sede di partecipazione alla gara o di prequalifica, e quanto comprovato con i documenti probatori prodotti in sede di verifica a campione.
Ad esempio, a fronte della richiesta nel bando di gara, nel triennio di riferimento, di un fatturato globale non inferiore a € 1.000.000,00 o di capacità tecnica attraverso servizi analoghi a quelli a base d'asta di importo complessivo non inferiore a € 500.000,00, cui ha fatto seguito la dichiarazione del concorrente circa il possesso degli stessi requisiti per valori, rispettivamente, pari a € 2.000.000,00 e a € 800.000,00, l'esclusione viene motivata, nei casi evidenziati, per avere il concorrente comprovato i requisiti suddetti, rispettivamente negli importi di € 1.100.000,00 e di € 510.000,00, in difetto.
Si deve tenere presente al riguardo che quanto previsto dall'art. 48 deve essere comunque rapportato ai requisiti minimi prescritti dal bando di gara, essendo necessario e sufficiente, ai fini della comprova dei requisiti stessi, dimostrarne il possesso in relazione allo specifico affidamento; l'esplicito riferimento nella norma alla necessità di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico - organizzativa, "richiesti nel bando di gara" porta ad escludere - trattandosi di norma sanzionatoria e quindi di stretta interpretazione - che si possa considerare inadempiente un concorrente che abbia limitato la comprova ai valori minimi richiesti dal bando, anziché estenderla ai requisiti, di misura superiore, contenuti nella dichiarazione.

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DETERMINAZIONE DEL PERIODO DI ATTIVITÀ DOCUMENTABILE RELATIVA AI REQUISITI SPECIALI

La clausola del bando che prevede un livello minimo di uno specifico requisito non deve essere formulata in temini equivoci o indistinti neanche con riferimento al periodo di attività documentabile in base alla quale è maturato il possesso di quel requisito.
In particolare, riguardo agli ultimi tre esercizi indicati sia dall'articolo 41, comma 1, lett. c), che 42, comma l, lett. a) e g), del Codice, per perimetrare l'ambito temporale entro cui considerare maturati i relativi requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa per servizi e forniture, la data da cui procedere a ritroso per l'individuazione del suddetto triennio è quella individuata dalla data di pubblicazione del bando.
Al riguardo, i documenti (bilanci, dichiarazioni IVA, modelli di dichiarazione dei redditi, modelli unici, certificati dei servizi e forniture eseguiti, ecc.) da prendere a base per la verifica del possesso dei requisiti sono relativi a periodi diversi e precisamente:

a) i documenti tributari e fiscali sono quelli relativi ai tre esercizi annuali, antecedenti la data di pubblicazione del bando di gara, che, alla stessa data, risultano depositati presso l'Agenzia delle Entrate o la Camera di Commercio, territorialmente competenti, come si ricava dal comma 4 dell'art. 41;

b) i certificati dei servizi e delle forniture eseguiti sono quelli relativi al periodo temporale costituito dai tre anni consecutivi (articolo 42, comma l, lett. a), immediatamente antecedenti la data di pubblicazione del bando di gara, come si ricava dal comma 4 dell'art. 42.

Di conseguenza, per quanto riguarda il requisito di capacità economico-finanziaria previsto all'art. 41, comma l, lett. c), del Codice, riguardante "il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi", ove il primo è da interpretarsi quale fatturato globale realizzato dall'operatore economico nelle eventuali molteplici attività costituenti l'oggetto sociale dello stesso, e il secondo é da intendersi quale fatturato in servizi e/o forniture analoghi a quelli oggetto di appalto, nel bando occorre sempre individuare il triennio di riferimento, eventualmente prevedendo, a discrezione del concorrente, la scelta dell'ultimo anno del triennio oggetto di dichiarazione, in relazione al periodo in cui cade la pubblicazione del bando di gara.
Infatti, tenuto conto che i mezzi di prova per dimostrare il possesso di detto requisito sono i bilanci o i documenti tributari e fiscali relativi ai tre esercizi annuali, antecedenti la data di pubblicazione del bando di gara, che, alla stessa data, risultano depositati, se la data di pubblicazione del bando di gara cade in un periodo in cui non è ancora scaduto il termine per la presentazione degli stessi (ad esempio, nel caso di bando pubblicato nel periodo 1° giugno / 31 ottobre 2009, laddove l'operatore economico faccia ricorso alla modalità telematica per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi), è assolutamente corretto che lo stesso concorrente possa dichiarare e poi documentare il possesso del requisito in argomento mediante presentazione, con riferimento all'esempio prima indicato, delle dichiarazioni I.V.A. riferite al fatturato conseguito nel triennio 2005-2007, ovvero nel caso che abbia già presentato le dichiarazioni dei redditi, al fatturato conseguito nel triennio 2006-2008.
Analogo ragionamento può farsi per le società di capitale, i consorzi, le società cooperative e i G.E.I.E. che dimostrano il requisito in argomento tramite esibizione dei bilanci di esercizio approvati e depositati presso il Registro delle Imprese competente entro 30 giorni dalla data di approvazione dei bilanci stessi.
Per contro, in merito al requisito di capacità tecnica previsto all' art 42, comma 1, lett. a), del Codice, riguardante "principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni ... ", occorrerà precisare nel bando che in tal caso il triennio è effettivamente quello antecedente alla data di pubblicazione dello stesso e non necessariamente coincidente con quello prima adottato per il requisito di capacità economico-finanziaria.

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24 marzo 2011

APPALTI A CORPO E A MISURA

L’art. 53 comma 4 del codice dei contratti chiarisce che “Per le prestazioni a corpo, il prezzo convenuto non può essere modificato sulla base della verifica della quantità o della qualità della prestazione”, invece “per le prestazioni a misura, il prezzo convenuto può variare, in aumento o in diminuzione, secondo la quantità effettiva della prestazione. Per l'esecuzione di prestazioni a misura, il capitolato fissa i prezzi invariabili per unità di misura e per ogni tipologia di prestazione”.
La differenza fra i due tipi di contratto viene sottolineata nel lodo arbitrale di Napoli del 22 giugno 2000, secondo il quale “nel contratto d’appalto stipulato a corpo, il prezzo viene determinato con la definizione di una somma fissa ed invariabile per la realizzazione di un’ opera tecnicamente rappresentata negli elaborati progettuali, per cui l’opera deve essere descritta in modo estremamente preciso, per mezzo di un progetto molto dettagliato; viceversa nel caso di prezzo a misura, questo può essere determinato nella sua effettiva entità soltanto al termine dei lavori, sommando le componenti dell’’opera finita e applicando loro il prezzo unitario prefissato”.

Entrambe le categorie contrattuali, però presentano alcuni elementi di criticità più volte segnalati dalla giurisprudenza.
Come sostenuto dal collegio arbitrale di Roma del 23 ottobre 1997 “Il criterio di determinazione del prezzo dell’appalto a corpo non costituisce, e non può costituire, strumento per trasformare l’appalto in una scommessa o in un contratto aleatorio, né tantomeno in un espediente per ottenere a spese dell’appaltatore l’esecuzione di opere pubbliche a costi inferiori a quelli effettivi, ma è consentito ed ammissibile, in via di principio, soltanto se ed in quanto sia possibile procedere preventivamente alla precisa determinazione dell’opera, quando cioè la possibilità di calcolare e misurare, precisamente tutte le categorie di lavoro richieste, consente di forfettizzare il corrispettivo globale e di lasciare quindi a carico oppure a vantaggio dell’appaltatore il rischio o l’utile delle maggiori o minori quantità che risultassero necessarie” (Lodo arbitrale Roma 23 ottobre 1997 n. 89).
Ed ancora "In caso di contratto a forfait (…) il rischio che grava sull'appaltatore in tale tipo di contratto deve essere inteso nel senso che sull'impresa non possono gravare oneri correlati a difficoltà che siano insorte nel corso del rapporto e che siano al di fuori di ogni previsione originaria" (Lodo Roma 27 Maggio 2002).

Diversamente, invece, come sostenuto dal collegio arbitrale di Roma del 6 aprile 2000 “Nell’appalto a misura l’importo presunto dell’appalto costituisce un tetto economico, concordato tra le parti, indicativo dei limiti di spesa dell’appalto, nonché, secondo certe regole, dell’obbligo e del diritto dell’appaltatore di eseguire le opere indicate nel contratto”. Inoltre “negli appalti a misura l’ampiezza degli oneri espressamente contemplati nella descrizione di uno o più prezzi unitari altro non comporta se non che l’impresa, nel formulare la propria offerta, deve prefigurarsene l’entità in relazione a tutti i dati progettuali a disposizione” (Lodo arbitrale Roma 22 marzo 2002).

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ILLEGITTIMO L'ART. 8, COMMA 1, LETTERA r), DELLA LEGGE DELLA REGIONE LOMBARDIA 5 FEBBRAIO 2010, N. 7

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 53 del 18 febbraio 2011, ha dichiarato illegittimo l'art. 8, comma 1, lettera r), della legge della Regione Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7, nella parte in cui ha sostituito l'art. 20, comma 3, della precedente legge regionale 19 maggio 1997, n. 14 «Disciplina dell'attività contrattuale della Regione e degli enti del sistema regionale»; il quale prevede che, in relazione agli appalti di importo «sotto soglia» per determinate forniture di beni prodotti in serie e di servizi a carattere periodico o di natura intellettuale, il collaudo e la verifica di conformità possano essere sostituiti da un attestato di regolare esecuzione rilasciato dal responsabile unico del procedimento ovvero dal dirigente della struttura destinataria della fornitura del servizio.

La Corte ricorda come la giurisprudenza costituzionale sia costante nel ritenere che, nel settore degli appalti pubblici, la fase che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l'attuazione del rapporto negoziale è disciplinata da norme che devono essere ascritte all'ambito materiale dell'ordinamento civile. Ciò in quanto, in tale fase, l'amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì nell'esercizio della propria autonomia negoziale.

Con riferimento alla disciplina del collaudo, pertanto, le Regioni sono tenute ad applicare la normativa statale e ad adeguarsi alla disciplina dettata dallo Stato per tutto quanto attiene alla fase di esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture; anche se questo non significa, tuttavia, che, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo all'autorità regionale poteri riferibili, in particolare, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva.
Al riguardo la Corte ricorda come il Codice dei contratti pubblici stabilisca (art. 120, comma 1) che «per i contratti relativi a servizi e forniture il regolamento determina le modalità di verifica della conformità delle prestazioni eseguite a quelle pattuite con criteri semplificati per quelli di importo inferiore alla soglia comunitaria», ed estenda (comma 2) tale disciplina al settore dei lavori, prevedendo che per i relativi contratti «il regolamento disciplina il collaudo con modalità ordinarie e semplificate, in conformità a quanto previsto dal presente codice».
Il Regolamento ha previsto (art. 325) che, qualora la stazione appaltante per le prestazioni contrattuali di importo inferiore alle soglie comunitarie non ritenga necessario conferire l'incarico di verifica di conformità, «si dà luogo ad un'attestazione di regolare esecuzione emessa dal direttore dell'esecuzione e confermata dal responsabile del procedimento».

Rispetto a tale disposizione, la normativa regionale censurata diverge in due punti significativi, in quanto:
• rispetto alla formula adoperata dal Regolamento, restringe l'area delle forniture e dei servizi per i quali sono previste le modalità semplificate di verifica della conformità della prestazione;
• rispetto alla previsione del Regolamento per il rilascio dell'attestato di regolare esecuzione da parte di due soggetti che cooperano tra loro (il direttore dell'esecuzione, che predispone l'attestato, e il responsabile del procedimento, che ne dispone la conferma), dando luogo all'adozione di un atto complesso, la norma regionale dispone che l'attestazione di regolare esecuzione sia rilasciata dal responsabile unico del procedimento o, in alternativa, dal dirigente della struttura destinataria della fornitura o del servizio.
Né può ritenersi che tali differenziazioni di disciplina possano essere ascritte a profili meramente organizzativi, per i quali la giurisprudenza costituzionale ha già riconosciuto la sussistenza della competenza legislativa delle Regioni; in quanto, affinché operi detta competenza, è necessario che sia riferita ad aspetti attinenti specificamente all'organizzazione interna degli apparati amministrativi e tecnici regionali, deputati a svolgere funzioni inerenti alla stipulazione dei contratti o alla realizzazione delle opere.

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22 marzo 2011

VALORI DI RIFERIMENTO DELLE AREE FABBRICABILI

Le delibere con le quali il Comune provvede ai sensi dell'art. 52 della L. 446/1997, ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili, costituiscono esercizio del potere, riconosciuto al Consiglio Comunale dall'art. 59 lettera g), della medesima L. 446/1997, nonché dal D. Leg.vo 267/2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora l'imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione Tributaria, con la sentenza 03/12/2010, n. 24573.
Dette delibere rappresentano dunque fonti di presunzioni utilizzabili dal Giudice, al pari del cosiddetto « redditometro», ma non hanno valore imperativo ed ammettono prova contraria. Ne consegue che allorchè nel processo il Giudice ritenga raggiunta la prova, o perché fornita dall'interessato o perché comunque emergente dagli atti di causa, che ad una area edificabile non possa essere applicato il valore stimato dal Comune, può disattenderlo, e procedere su istanza di parte ad una stima diversa ed autonoma, utilizzando tuttavia i parametri di legge (art. 5, comma 5, D. Leg.vo 502/1992).
Né si verifica alcuna violazione dell'art. 7 del D. Leg.vo 546/1992, atteso che non si tratta di disapplicare un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, a causa di una ritenuta illegittimità della stesso (ovvero di contrasto tra l'atto amministrativo ed una legge o comunque un provvedimento normativo di rango superiore) vertendosi invece in tema di questione di fatto, ovvero di comprovata inadeguatezza dei criteri generali di stima elaborati dal Comune in sé legittimi, in relazione alle caratteristiche specifiche di una determinata area edificabile.

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ART. 133, COMMA 3 PER L’ANNO 2010

Sulla G.U. n. 53 del 05/03/2011 è stato pubblicato il D. Min. Infrastrutture e Trasporti 03/02/2011, concernente le differenze percentuali tra tasso di inflazione reale e tasso di inflazione programmata, ai fini dell'applicazione di quanto disposto al comma 3 dell'art. 133 del D. Leg.vo 163/2006, il quale attesta che per l'anno 2010 non si sono verificati scostamenti superiori al 2% tra detti tassi di inflazione.
Il comma 3 dell'art. 133 del D. Leg.vo 163/2006, Codice Appalti, prevede che, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente sia superiore al 2%, per i lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti si applichi il prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta aumentato della percentuale eccedente il 2%, da applicarsi all'importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l'ultimazione degli stessi. La percentuale di maggiorazione è pubblicata mediante apposito decreto entro il 31 marzo di ogni anno.
Il comma 3-bis del medesimo D. Leg.vo 163/2006 prevede altresì un termine di 60 giorni, decorrenti dalla data di pubblicazione in G.U. del decreto recante la differenza tra i tassi di inflazione, entro il quale l'appaltatore è tenuto ad inoltrare l'istanza per l'applicazione del prezzo chiuso, a pena di decadenza.

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20 marzo 2011

ESCLUSIONE DALLA GARA SOLO NEL CASO DI NON PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO

Per le gare bandite a far data dal 1.5.2010, l’Autorità ha precisato in più occasioni che è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato il pagamento del contributo e non nel differente caso in cui il pagamento sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità, in quanto un inadempimento meramente formale non può essere considerato dalla stazione appaltante nel bando di gara sic et simpliciter causa di esclusione, senza procedere ad un previo accertamento dell’effettivo versamento del contributo dovuto all’Autorità. In altri termini, l’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n.8 del 14.1.2010, n.67 del 25.3.2010, n.225 del 16.12.2010).
Per tale ragione l’Autorità nel dare attuazione per l’anno 2010 all’art. 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 con la delibera del 15 febbraio 2010, non ha imposto, a pena di esclusione, alcun onere formale o procedurale ai concorrenti, ma ha preciso all’art. 4, comma 2, che “i soggetti di cui all'art. 1, lettera b), del presente provvedimento - gli operatori economici - sono tenuti al pagamento della contribuzione quale condizione di ammissibilità alla procedura di selezione del contraente. Essi sono tenuti a dimostrate, aI momento di presentazione dell'offerta, di avere versato la somma dovuta a titolo di contribuzione. La mancata dimostrazione dell'avvenuto versamento di tale somma è causa di esclusione dalla procedura di scelta del contraente”, ed al successivo comma 5 che “ai fìni del versamento delle contribuzioni, i soggetti vigilati debbono attenersi alle istruzioni operative pubblicate sul sito dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture al seguente indirizzo: http : //www. avcp.it”, ossia o on line mediante pagamento con carta di credito o in contanti mediante pagamento presso i tabaccai lottisti abilitati.
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni. Osta a ciò, da un lato, il principio di stretta interpretazione della cause di esclusione dalle gare pubbliche – avendo previsto il legislatore l’esclusione solo in caso di mancato versamento del contributo (art. 1, comma 67, legge n. 266/2005) – e dall’altro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa – che sarebbero violati, se la stazione appaltante non distinguesse, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formale, non aventi le stesse conseguenze dei primi (cfr. TAR Lombardia Brescia, sez. I, sentenza n. 487 del 7.5.2008, TAR Lazio Roma, sez. II bis, sentenza n. 4893 del 7.5.2009). Conseguentemente la previsione della lex specialis, che sanzionasse con l’esclusione sia il concorrente che non ha versato il contributo AVCP sia il contraente che ha effettuato tale versamento con modalità diverse da quelle indicate nei documenti di gara, sarebbe illegittima per falsa applicazione dell’art. 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e per eccesso di potere, sub specie di manifesta irragionevolezza. Parere di Precontenzioso dell’AVCP n. 27 del 09/02/2011

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18 marzo 2011

AFFIDAMENTO DIRETTO DI LAVORI COMPLEMENTARI

Ai sensi dell’art.57 comma 5, lett.a), del codice, la nozione di lavori complementari è ancorata a tre elementi principali.
In primo luogo, deve trattarsi di lavori non compresi nell’appalto e nel progetto appaltato e divenuti necessari all’esecuzione dell’opera del contratto iniziale, a seguito di una circostanza imprevista. Nel caso in esame la sopraelevazione non era prevista nel progetto appaltato e la sopravvenuta oggettiva condizione di precarietà strutturale di un plesso ospedaliero (“Maternità-Pediatrica”) aggravata da un recente evento sismico di intensità medio-alta, le cui attività sono perciò da ricoverare nell’erigendo edificio, caratterizza la assoluta necessità di completamento dell’opera fino al sesto piano. A cura del medesimo esecutore.
Il secondo elemento risiede nella sussitenza di gravi inconvenienti qualora i lavori complementari siano separati dal contratto iniziale ovvero siano strettamente necessari al perfezionamento. Qualora infatti non si cogliesse l’opportunità di ospitare nella sopraelevazione le attività svolte attualmente nel plesso bisognoso di consolidamento, si verrebbe a interrompere la erogazione dei servizi ospedalieri ivi svolti con conseguente forte disagio nel bacino di utenza. Inoltre, dovrebbe procedersi alla sopraelevazione con un appalto in un tempo successivo alla messa in esercizio del corpo “B” di tre piani e verosimilmente procedere ad una nuova messa fuori esercizio del nuovo plesso di tre piani con danni rilevanti per l’Azienda. Anzi, con ogni probabilità, le difficoltà tecniche di sopraelevare, di fatto, allontanerebbero del tutto la possibilità di procedere alla realizzazione di un edifico come originariamente concepito di sei piani fuori terra, ma subito ridimensionato per le carenze di copertura finanziaria.
Il terzo e non meno importante elemento richiamato nel comma 5, lett. a.2), dell’art.57, verte sulla sussistenza del limite tassativo all’importo complementare del 50 % dei lavori principali.
Un’ importanza particolare risiede inoltre nella qualità della “connessione” dei lavori complementari con quelli principali. In merito, autorevole giurisprudenza chiarisce (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic. Sez. giurisdiz., 03-02-2000, n. 38, pur se riferito alla stessa tematica nella previgente legislazione sui ll.pp.): possono ritenersi "complementari" quelle opere che da un punto di vista tecnico - esecutivo rappresentino una integrazione dell'opera principale sì da giustificare l'affidamento e la relativa responsabilità costruttiva ad un unico esecutore.
Ed ancora (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic. Sez. giurisdiz., 20-06-2000, n. 295), sono da ritenersi complementari soltanto quelle opere che da un punto di vista tecnico - costruttivo rappresentino una integrazione dell'opera principale saldandosi inscindibilmente con essa sì da giustificarne l'affidamento e la relativa responsabilità costruttiva ad un unico esecutore. La unicità dell’esecutore assume nel caso in esame una singolare ricorrenza e pregnanza, trattandosi di un’opera da realizzarsi fisicamente al disopra di un’altra preesistente alla quale è richiesta la piena e indefettibile idoneità strutturale a sopportare carichi aggiuntivi, non solo dal punto di vista progettuale (cosa qui assicurata dal Progettista come detto), bensì sotto il profilo esecutivo della qualità dei materiali impiegati e modalità tecniche di “ripresa” della sopraelevazione (aspetto quest’ultimo di importanza cruciale in una zona ad altissima sismicità come il territorio della città di Foggia, a causa delle forzanti orizzontali alternate cui è sottoposto l’edifico in caso di sisma). Non può pertanto non rimarcasi quanto sia congeniale la circostanza di poter riunire su di un unico esecutore la responsabilità della sopraelevazione.
L’Autorità, nel parere AG 19-10 del 29 aprile 2010, ha ripreso e ampliato la stessa giurisprudenza citata per chiarire la nozione di lavori complementari: “possono ritenersi complementari soltanto le opere che da un punto di vista tecnico costruttivo rappresentano un’integrazione delle opere principali”; mentre in altra fattispecie, argomenta sempre il parere AG 19-10, il giudice amministrativo (Tar Lombardia, 3.11.2004, n.5575) “ha ritenuto illegittimo l’affidamento di lavori a trattativa privata .. sebbene abbiano ad oggetto collegamenti che comprendono nuovi svincoli di interconnessione di infrastrutture già esistenti, qualora essi non riguardano il completamento dell’opera principale ma concernono la costruzione di un nuovo raccordo che unisce vari tratti stradali al fine di migliorare la viabilità”. In sostanza, il parere AG 19-10 segnala la differenza tra i lavori rientranti nel piano dell’opera e dunque come tali ascrivibili a lavori suppletivi o complementari, e “i lavori extracontrattuali consistenti in lavori aventi una propria individualità distinta da quella dell’opera originaria e che integrano un’opera a sé stante (es. strada di collegamento).”Come si vede, alla luce del citato parere AG 19-10, l’opera di sopraelevazione non è riconducibile a lavoro extracontrattuale - da affidarsi con procedura di evidenza pubblica - data la sua stretta connessione con l’opera principale.
Per le sopra esposte considerazioni, si rinvengono gli elementi per assentire alla richiesta di applicazione dell’art.57 comma 5, lett. a) del DLgs n.163/2006, sotto la condizione di verificare a cura della stazione appaltante medesima, il possesso dei requisiti di idoneità tecnica dell’appaltatore all’esecuzione della sopraelevazione, confluendo i lavori complementari in un unico e più ragguardevole contratto (i lavori principali sono in corso di esecuzione).
Sono fatti salvi gli altri profili da attuare in conformità al DLgs n.163/2006 in tema di: affidamento della progettazione aggiuntiva la quale non potrà riguardare nuovamente la progettazione strutturale; mantenimento dei requisiti generali dell’operatore; validazione della progettazione suppletiva; accettazione dell’appaltatore agli stessi patti e condizioni del contratto principale e segnatamente del ribasso di aggiudicazione; nuovi limiti al subappalto delle opere della categoria prevalente e scorporate; obbligo di comunicazione alla stazione appaltante di tutti i subcontratti; adeguamento del contratto in ordine alla tracciabilità finanziaria, nei termini e con le modalità indicati dall’Autorità con le determinazioni n.8 del 18.11.2010 e n.10 del 22.12.2010; controllo stringente della qualità dei lavori a fronte del ribasso di aggiudicazione particolarmente elevato. Deliberazione dell’AVCP n. 26 del 23/2/2011

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17 marzo 2011

VALIDAZIONE DEL PROGETTO

L’art. 47 del D.P.R. 554/99, in merito alla validazione dei progetti, prevede che ”Prima della approvazione, il responsabile del procedimento procede in contraddittorio con i progettisti a verificare la conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente ed al documento preliminare alla progettazione.” e che “La validazione riguarda fra l’altro (…) l’acquisizione di tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto.
L’aver posto in gara un progetto non ancora definitivamente approvato dagli organi competenti, come appare ricorrere nella fattispecie in esame, ha esposto la S.A. ad eventuali successive problematiche con l’impresa esecutrice, con la redazione obbligatoria di varianti in corso d’opera, in quanto non vi è certezza riguardo la piena e sicura cantierabilità del progetto posto a base di gara. Su tale argomento l’Autorità si è già ampiamente espressa (ex plurimus, Deliberazioni n.124/2001 e n. 97/2004) ribadendo il contrasto di tale comportamento con l’art. 47 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m.i., quando viene indetto e, quindi, aggiudicato un appalto sulla base di una progettazione esecutiva non corredata di tutte le prescritte approvazioni ed autorizzazioni di legge necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto.

Per quanto attiene l’attribuzione delle funzioni del responsabile unico del procedimento si rileva che, non è conforme al disposto dell’art. 10 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, e dell’art. 7 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n.554, l’individuazione del segretario comunale quale responsabile unico del procedimento in quanto, ancorché in possesso di ultradecennale esperienza, per espressa previsione normativa tale ruolo può essere rivestito solo da un tecnico dipendente dell’amministrazione aggiudicatrice abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia prevista dalla normativa vigente, da un funzionario con idonea professionalità e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a 5 anni. Solo subordinatamente, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio, supportati nello svolgimento dei compiti così attribuiti da funzionari in possesso delle specifiche professionalità necessarie allo svolgimento di tali compiti ovvero da tecnici esterni. In caso di particolare necessità ai sensi dell’art. 7 co. 5 del DPR 554/99 le competenze del responsabile del procedimento sono attribuite al responsabile dell’ufficio tecnico e della struttura corrispondente e, ove non sia presente tale figura, al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare. Su tale argomento l’Autorità si è già espressa con la Deliberazione n. 21/2006, nella quale si afferma che l’individuazione del segretario comunale quale responsabile del procedimento non risulta conforme alle disposizioni di cui all’art. 7 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m., che invece richiede la qualifica di tecnico per ricoprire tale incarico. Una diversa interpretazione della norma ne sminuirebbe il contenuto precettivo-indicativo per gli operatori del settore, svuotandola di significato effettivo. Deliberazione dell’AVCP n. 24 del 23/2/2011

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16 marzo 2011

VARIANTI MIGLIORATIVE E VIOLAZIONE ART. 132 E 134 DLGS. 163/2006

Deliberazione dell’AVCP n. 16 del 9/2/2011. Il caso esaminato riguarda il progetto ed il bando di gara rispettivamente approvati e pubblicati senza che fossero stati acquisiti tutti i pareri necessari per procedere all’esecuzione dei lavori; infatti, la stazione appaltante in pari data ha disposto sia la pubblicazione del relativo bando di gara che l’invio del progetto all’ente gestore della rete idrica nonché esecutore delle opere di allaccio, per acquisirne il parere, violando così la lett. l) dell’art. 47 del DPR 554/99, che prescrive che il RUP deve ottenere “tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto”.
Tale disposizione normativa ha proprio la sua efficacia nell’evitare che dopo l’aggiudicazione dei lavori possano manifestarsi cause che comportino la necessità di redigere una perizia di variante, come si è verificato nell’appalto in questione.
In merito invece alla redazione della predetta perizia di variante, l’importo dell’appalto può subire modifiche complessivamente in aumento (od in diminuzione), solo qualora in corso d’opera si manifesti l’esigenza di migliorare l’intervento.
Infatti, il Codice degli Appalti prevede all’art. 132 comma 1, alcuni casi specifici per i quali si possono approvare delle varianti e soprattutto al comma 3, prevede che le stesse possano essere redatte “nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, …….., finalizzate al miglioramento dell'opera ed alla sua funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L'importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera”.
Il caso in esame, riguarderebbe le cosiddette varianti migliorative, ma le stesse devono essere subordinate appunto al verificarsi “di circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto”, circostanze non rinvenibili nelle motivazioni presentate che comunque non possono comportare un aumento di spesa superiore al 5 per cento dell’importo contrattuale originario.
Sia nella relazione della variante che nella Determina di approvazione non sono state riportate le disposizioni normative che hanno consentito la relativa approvazione, ma semplicemente un riferimento al Codice dei Contratti.
L’approvazione della variante ha causato il concordamento di n. 6 nuovi prezzi e soprattutto l’aumento dell’importo contrattuale originario di circa il 15% , il tutto in violazione dell’art. 132 del Codice degli appalti.
Il ricorso all’art. 134, comma 10 del Regolamento, è consentito per le varianti che debbono essere “...approvate dal responsabile del procedimento, previo accertamento della loro non prevedibilità, e che alla loro copertura si provveda attraverso l'accantonamento per imprevisti o mediante utilizzazione, ove consentito, delle eventuali economie da ribassi conseguiti in sede di gara”.
Al RUP, è stata quindi contestata l’irregolarità accertata nella pubblicazione del bando di gara senza avere ottenuto tutti i pareri necessari per l’esecuzione dei lavori e nell’approvazione del progetto di variante per un importo superiore al 5% di quello contrattuale, in difformità rispettivamente della lett. l) dell’art. 47 e dell’art. 134, comma 10 del DPR 554/99 e dell’art. 132 comma 3 del D.lgs. 163/06.

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14 marzo 2011

RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE EX ART. 1337 C.C.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 12313/2005) ha stabilito che "in tema di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., l'ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell'illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso d'ingiustificato recesso dalle trattative, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l'altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente".
I Giudici hanno precisato che "pertanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata la lesione dei diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all'inadempimento contrattuale; mentre, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cd. interesse negativo)".
L'area del danno risarcibile nella responsabilità precontrattuale non consiste nell'intero pregiudizio risentito dalla controparte, bensì nel cosiddetto interesse negativo. La nozione di interesse negativo è correlata al diritto a non essere coinvolto in perdite di tempo e di risorse. Viene lesa la libertà contrattuale, concepita come impiego proficuo delle energie negoziali.
Il danno risarcibile nei limiti dell'interesse negativo (nel quale non può evidentemente rientrare il danno biologico e quello alla vita di relazione: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 10649/94 ) deriva dal pregiudizio afferente all'aver confidato nella conclusione di un contratto che non è stato stipulato, nell'aver impiegato risorse nella conclusione di un contratto inutile (invalido o inefficace), infine ancora nell'aver concluso un contratto a condizioni che sarebbero state diverse qualora non si fosse manifestata l'ingerenza antigiuridica della condotta di un terzo.
Così precisate le fonti del danno, occorre verificare in che cosa consista più precisamente l'interesse negativo, quali siano in concreto le voci oggetto di risarcimento.
Giova a questo riguardo precisare che l'interesse negativo è pur sempre risarcibile (come accade per l'interesse positivo) nelle due componenti del danno emergente e del lucro cessante.
Il danno emergente si specifica nelle spese sostenute nel corso della trattativa (i viaggi, i prospetti di preventivo, i costi di progettazione, i compensi a tecnici specializzati il cui intervento è stato necessario per comprendere problematiche di speciale complessità), nelle ulteriori spese che siano state sopportate in previsione della prestazione (l'assunzione di maestranze specializzate, l'approntamento di attrezzature particolari etc.).
Il lucro cessante attiene invece alla perdita di ulteriori trattative che sarebbe stato possibile concludere se non si fosse sprecato tempo ed energie nella trattativa rimasta senza esito (Cass. Civ. Sez. I, 9157/95 ; Cass. Civ. Sez. II, 8778/94 ) ovvero culminata nel contratto invalido.
Tanto danno emergente quanto lucro cessante devono inoltre essere considerati quali conseguenza immediata e diretta rispetto alla mancata stipulazione del contratto, secondo la disposizione di cui all'art. 1223, richiamata dall'art. 2056 cod.civ., in accordo con la riconosciuta natura extracontrattuale della responsabilità in esame (Cass. Civ. Sez. III, 2973/93 ).
Si può aggiungere che, per questo motivo, non può ritenersi invece applicabile la limitazione, valevole solo in tema di responsabilità contrattuale, di cui all'art. 1225 cod.civ. (a proposito di danni prevedibili nel tempo di perfezionamento del vincolo contrattuale).
Occorre naturalmente dare conto, in base ai principi generali in materia di onere della prova (art. 2697 cod.civ. ), delle occasioni alternative perse in seguito alla trattativa inutile. In altri termini non è possibile dedurre automaticamente la possibilità di concludere un contratto quantomeno identico a quello perso, pretendendo di essere risarciti in base al guadagno che si sarebbe realizzato (Cass. Civ. Sez. II, 582/88 ).
Non si riconosce, al contrario, il risarcimento dell'interesse positivo, cioè il lucro che si sarebbe ottenuto se il contratto si fosse concluso. Tra le parti non è sorto infatti alcun vincolo contrattuale nè si può equiparare la fase che precede il perfezionamento del contratto a quella che lo segue.
Il debito relativo al risarcimento del danno conseguente alla lesione dell'interesse negativo, conformemente alla propria natura, deve essere considerato debito di valore e non di valuta (Cass. Civ. Sez. I, 4299/99 ).

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ESPROPRIAZIONE - DECADENZA DEL VINCOLO

I vincoli espropriativi imposti su beni determinati dallo strumento urbanistico hanno per legge durata limitata: in linea generale, cinque anni, alla scadenza dei quali, se non è intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera prevista, il vincolo preordinato all’esproprio decade (art. 9 del T.U. delle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327). La decadenza dei vincoli urbanistici espropriativi o che comunque privano la proprietà del suo valore economico comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione (Cons. St., IV, 22 giugno 2004, n. 4426); ovviamente, l’area non deve necessariamente conseguire una destinazione urbanistica edificatoria, essendo in ogni caso rimessa al potere discrezionale dell’Amministrazione comunale la verifica e la scelta della destinazione, in coerenza con la più generale disciplina del territorio, meglio idonea e adeguata in relazione all’interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo (Cons. St., IV, 8 giugno 2007, n. 3025). TAR SICILIA, Catania, Sez. I - 26 maggio 2010, n. 1946

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VINCOLO CIMITERIALE - FASCIA DI RISPETTO (200 METRI)

L'articolo 338 T.U. Legge Sanitaria, (Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265) come modificato dall'articolo 28 della legge 1° agosto del 2002 n.166, ribadisce al primo comma la regola generale che i cimiteri debbano essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dai centri abitati e che è vietato costruire nuovi edifici (siano essi pubblici o privati) entro il raggio di duecento metri dal perimetro del cimitero.
Siffatta fascia di rispetto costituisce un vincolo urbanistico posto con legge dello Stato e come tale è operante indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con essi (Cons. Stato sez V 27/08/1999 n 1006, Cass. pen. sez. III n 8553/1996, Cons. Stato n. 1185/2007).
Il relativo suolo ai fini dell'indennizzo espropriativo, anche se può avere un valore di mercato superiore a quello agricolo per effetto di possibili utilizzazioni diverse da quelle edificatorie, non è comunque suolo edificatorio (Cass. Sez un. civ. n .13596/1991, Cass. civ. sez. I n. 11669/2004, sez. III n. 4797/2006).
Tale fascia di rispetto può essere derogata in due ipotesi soltanto.
Secondo la prima, il Consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato purché non oltre il limite di 50 metri quando ricorrono anche alternativamente le due condizioni previste dalla norma, ossia quando non sia possibile provvedere altrimenti ovvero quando l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche, fiumi ecc.
In base alla seconda , la deroga è consentita allorché si deve dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico sanitarie; in tali casi il Consiglio comunale può consentire previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici o la realizzazione di parcheggi, attrezzature sportive, locali tecnici e serre. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 26/02/2009 (Ud. 13/01/2009), Sentenza n. 8626

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13 marzo 2011

CALCESTRUZZO: GLI ADDITIVI

Gli additivi costituiscono, con il cemento, l'acqua e gli aggregati, il quarto ingrediente che entra spesso nella progettazione e nella composizione del calcestruzzo .
Gli additivi sono definiti dalla UNI EN 934-2 come "materiale da aggiungere durante il confezionamento del calcestruzzo in quantità non superiore al 5% in massa sul contenuto di cemento", allo scopo di modificare le proprietà della miscela allo stato fresco e/o indurito.
Gli additivi sono sostanze di natura polimerica o non, per la maggior parte dei casi, disciolte e veicolate in acqua. Gli additivi disponibili sul mercato sono raggruppati in base alla loro funzione principale, correlata al tipo di beneficio che si vuole ottenere. Accanto a questa, di solito, esistono una o più funzioni secondarie a volte volute, o effetti collaterali indesiderati, di cui occorre tener conto al momento della scelta e dell'impiego. È buona regola controllare, con idonea sperimentazione, l'azione dell'additivo evitando di fare affidamento solo sulle indicazioni del produttore. Per ottenere i migliori risultati può essere necessario adattare all'additivo il tipo di cemento, l'assortimento granulometrico, i rapporti di composizione, il metodo e il modo di preparazione, trasporto e posa in opera. Il dosaggio richiede un accurato controllo perché le quantità usate sono molto piccole. Un eccesso è sempre dannoso o per la resistenza meccanica o per altre proprietà.
Gli additivi sono classificati prendendo in considerazione la loro funzione principale, trascurando gli eventuali effetti secondari.
Additivi riduttori di acqua
In base al grado di efficacia, gli additivi riduttori di acqua possono essere classificati in fluidificanti, superfluidificanti e iperfluidificanti.
Fluidificanti
Gli additivi fluidificanti migliorano l'attitudine alla deformazione dei calcestruzzi freschi sotto l'effetto della costipazione e della vibrazione. In genere, sono dei tensioattivi e funzionano come disperdenti dei granuli di cemento, in quanto caricano negativamente la superficie del granulo provocando la repulsione elettrostatica delle particelle.
Gli additivi fluidificanti, a pari rapporto a/c, migliorano la lavorabilità e, a pari lavorabilità, permettono di abbassare il rapporto a/c con beneficio, in questo secondo caso, delle resistenze meccaniche e della durabilità. Occorre tenere presente che l'azione di questi additivi diventa meno efficiente man mano che diminuisce il dosaggio di cemento nel calcestruzzo . Pertanto, con calcestruzzi magri (cioè bassi dosaggi in cemento), una migliore lavorabilità è ottenuta con l'aumento del dosaggio di cemento piuttosto che con l'uso di additivi.
Superfluidificanti
I normali fluidificanti sono impiegati in dosi piuttosto esigue, non superiori cioè allo 0,1-0,4% del peso del cemento, per evitare effetti collaterali di forti ritardi nell'idratazione. I superfluidificanti non provocano invece questo inconveniente e, pertanto, possono essere aggiunti in quantità anche 10 volte superiori consentendo di ottenere incrementi di lavorabilità più marcati.
Il potere disperdente di questi additivi permette di confezionare calcestruzzi con rapporti a/c molto ridotti, fluidi e superfluidi, consentendo una facile messa in opera. L'aspetto più importante dell'impiego dei superfluidificanti riguarda la possibilità di mettere in opera, senza eccessivi problemi di compattazione, calcestruzzi fluidi le cui prestazioni allo stato indurito siano equivalenti a quelle di un calcestruzzo a basso rapporto alc che richiederebbe, invece, un'accurata vibrazione. Anche a fluidità elevate, gli impasti presentano buona coesione senza segregazione dei componenti. Esistono versioni ritardanti e a bassa perdita di lavorabilità.
Iperfluidificanti
Sono superfluidificanti di nuova generazione che presentano spiccato potere di riduzione dell'acqua d'impasto con assenza di ritardo nei tempi di presa del calcestruzzo , pur garantendo prolungati mantenimenti della lavorabilità. L'ampio spettro di dosaggio che caratterizza questi additivi, insieme all'elevato potere disperdente, consente di ottenere calcestruzzi iperfluidi caratterizzati da bassissimi valori del rapporto a/c. È, quindi, insostituibile elemento per i calcestruzzi cui sono richieste prestazioni elevate in termini di scorrevolezza, resistenze meccaniche alle brevi e brevissime stagionature, impermeabilità e durabilità.
L'utilizzo di questi additivi, tuttavia, in calcestruzzi con contenuti di cemento al di sotto di 280-300 kg/m3 si è dimostrato meno efficace di quello di additivi superfluidificanti.

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REVOCA O ANNULLAMENTO DELL'AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA

Come è confermato dalla disciplina dell’attuale art. 11 del Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) deve ritenersi che non sia precluso alla stazione appaltante di procedere alla revoca od all'annullamento dell'aggiudicazione allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell'ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all'eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell'aggiudicatario nei confronti dell'Amministrazione; un tale potere, in precedenza, si fondava, oltre che sulla disciplina di contabilità generale dello Stato - che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113, r.d. 23 maggio 1924 n. 827) - anche sul principio generale dell'autotutela della P.A., che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica.

L'aggiudicazione provvisoria è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, che determina la nascita di una mera aspettativa, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo, e determina nell’aggiudicatario soltanto una aspettativa di mero fatto e non già un affidamento qualificato. Di conseguenza, ove la P.A. decida di revocare, in sede di autotutela, il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, l’avvio del relativo provvedimento non dovrà essere notificato al soggetto provvisoriamente aggiudicatario.

Per recidere la situazione di aspettativa dell'aggiudicatario provvisorio è in ogni caso sufficiente la mera adozione di un atto soprassessorio che si inserisca nel procedimento ad evidenza pubblica, tra la fase dell'aggiudicazione provvisoria e quella dell'aggiudicazione definitiva, essendo sufficiente la comunicazione della stazione appaltante ad es. di non poter dar corso all'esecuzione dei lavori per cause non dipendenti dalla propria volontà e di essere intenzionata a procedere all'annullamento della gara d'appalto a suo tempo esperita, con ciò preannunciando la revoca degli atti di gara, con atto idoneo a concretare un avviso alla aggiudicataria.
E’ legittima la revoca di una gara per l’affidamento del servizio di gestione parcheggi situati nel Comune disposta dopo l’apertura delle offerte e l'aggiudicazione provvisoria, motivata con l’esigenza di modificare la metodologia di presenziamento dei parcheggi del Comune per sopravvenute mutate esigenze aziendali, volte ad un più ampio, nuovo, riassetto societario, correlate alla necessità di ottemperare agli accordi nel frattempo intercorsi con i sindacati, nonché all’obbligo per legge l. n. 68/99) di assumere personale rientrante nelle categorie protette (personale privilegiato), atteso che la stazione appaltante è libera, fino al momento dell’aggiudicazione definitiva, di privilegiare la scelta dell’autoproduzione del servizio se questa non trova controindicazioni. - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 9 aprile 2010 n. 1997

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AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA – MASSIME AVCP

1 - Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, l’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria, in quanto atto infraprocedimentale della procedura di gara, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, inserendosi nell’unica serie procedimentale della gara, non ancora conclusasi, non essendo ancora intervenuta l’aggiudicazione definitiva. Parere di Precontenzioso n. 145 del 03/12/2009

2 - L’attualità e la specificità dell’interesse pubblico ad annullare un provvedimento in autotutela devono essere calibrate in funzione della fase procedimentale in cui esso interviene e, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento ritirato. Diverso è l’onere motivazionale richiesto per procedere all’annullamento degli atti di gara a seconda che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, ovvero il procedimento di conclusione della gara non sia giunto completamente a termine. Inoltre, la recente giurisprudenza ha altresì precisato che, stante la natura instabile ed interinale del provvedimento di aggiudicazione provvisoria a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario, l’Amministrazione ha altresì il potere di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in via implicita senza obbligo di motivazione. Parere di Precontenzioso n. 145 del 03/12/2009

3 - In caso di aggiudicazione provvisoria di un contratto, l'amministrazione, in base al principio costituzionale di buon andamento e con l'obbligo di dare esplicita e puntuale contezza del potere esercitato, può riaprire la gara al fine di riammettere imprese illegittimamente escluse e, in generale, riesaminare gli atti adottati, se ciò risulta opportuno a seguito di circostanze sopravvenute o sulla base di un diverso apprezzamento della situazione preesistente (cfr. determinazione n. 17/2002). In particolare, la necessità di eliminare le illegittimità verificatesi nel corso dell’istruttoria costituisce una situazione che legittima non solo la rinnovazione del procedimento ma anche lo svolgersi delle operazioni di gara in un arco di tempo maggiore del previsto (Consiglio Stato sez. V, 12 settembre 2000, n. 4822). L’adozione di provvedimenti in autotutela rappresenta un potere/dovere in capo alla stazione appaltante, da esplicarsi in qualunque momento nel corso di una procedura ad evidenza pubblica si manifestino vizi determinanti per l’individuazione del contraente, fermo restando tuttavia il rispetto degli elementi di principio (obbligo di motivazione, concrete ragioni di pubblico interesse, contraddittorio procedimentale, adeguata istruttoria) cui l’adozione di provvedimenti in autotutela per la rettifica di atti invalidi è subordinata. Deliberazione n. 112 del 17/04/2007, Deliberazione n. 149 del 22/05/2007 e Deliberazione n. 190 del 14/06/2007

4 - E’ conforme alla disciplina di settore la verifica da parte della stazione appaltante in ordine agli esiti delle operazioni della commissione giudicatrice e la eventuale, conseguente revoca dell’aggiudicazione provvisoria pronunciata in favore dell’operatore economico risultato aggiudicatario, laddove l’amministrazione accerti che la commissione giudicatrice – in sede di valutazione delle offerte – non abbia rilevato la mancanza di un elemento dell’offerta tecnica. Deliberazione n. 122 del 20/12/2006

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LEGITTIMO NEGARE L’AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA QUANDO NON SAREBBE POSSIBILE L’ASSUNZIONE DELL’IMPEGNO DI SPESA

L’amministrazione si è indotta a non dare corso all’esito della gara perché non dispone dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera: questa circostanza costituisce una motivazione congrua ed esaustiva, poiché il corretto svolgimento dell’azione amministrativa ed un principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 della Costituzione esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria. D’altra parte, se specifiche ragioni di interesse pubblico possono consentire la revoca dell’aggiudicazione di un appalto (Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2000, n.5710), a maggior ragione deve riconoscersi che l’amministrazione è legittimata a negare l’aggiudicazione definitiva quando non sarebbe possibile l’assunzione dell’impegno di spesa.
Il carattere endoprocedimentale dell’atto rimosso, il mancato riferimento a vizi di legittimità, il richiamo alla sopravvenuta carenza di fondi indicano concordemente che si tratta non di un annullamento d’ufficio, ma di un diniego di approvazione.
Tuttavia, poiché la mancanza di fondi costituisce una circostanza oggettivamente impeditiva della realizzazione dell’opera, il principio di correttezza esigeva che, nel momento in cui è stato accertato o poteva essere accertato il venir meno della copertura finanziaria, il Ministero dei lavori pubblici disponesse il rinvio della gara. Siffatto comportamento, del quale non è stato fornita alcuna giustificazione, concreta una violazione del principio che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede anche nelle attività precontrattuali e, per conseguenza, determina il configurarsi, a carico del Ministero, della responsabilità di cui al citato art. 1337 cod. civ. nei confronti della società appellante, che, per parte sua, ha partecipato alla gara avendo pieno titolo a confidare sulla affidabilità degli atti di gara, adottati dal concessionario in nome e per conto del Ministero.
Nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale il danno risarcibile consiste, secondo la costante giurisprudenza, nella diminuzione patrimoniale che è diretta conseguenza del comportamento del soggetto che ha violato l’obbligo della correttezza, definito comunemente “interesse contrattuale negativo”. (La società appellante ha definito l’oggetto della domanda di risarcimento ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. “nelle spese sopportate per l’approntamento della partecipazione alla gara, nonché nella perdita delle occasioni di lavoro alternative”, tuttavia, mentre ha esplicitato e specificato le spese sostenute non ha in alcun modo dimostrato l’entità dell’asserito pregiudizio derivante dalla perdita di altre occasioni. Sicché, solo per questa seconda parte, la domanda è stata inammissibile). Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1457

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07 marzo 2011

L'AFFIDAMENTO DEGLI INCARICHI DI COLLAUDO DI LAVORI PUBBLICI

All'articolo 120, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici, è stabilito l'obbligo per le stazioni appaltanti di valutare in via prioritaria l'idoneità dei propri dipendenti, o di diversa amministrazione aggiudicatrice, all'espletamento dell'incarico di collaudo, sulla base di adeguati requisiti, ammettendo il ricorso a professionisti esterni, nel rispetto dei principi e della normativa comunitaria, solo in caso di carenza di personale idoneo alla prestazione, accertata dal responsabile del procedimento. E' stato inoltre inserito all'articolo 91, commi 1 e 2, il riferimento espresso al collaudo nell'ambito delle attività rientranti nei servizi attinenti all'ingegneria e architettura oggetto delle procedure concorsuali.
Il quadro normativo in materia, con riguardo ai lavori pubblici, è poi completato dalle disposizioni dell'articolo 141 ove, nel prevedere la nomina da parte della stazione appaltante da uno a tre tecnici per l’attività di collaudo e le incompatibilità con le attività di progettazione, direzione, vigilanza ed esecuzione lavori, si rinvia al regolamento ex articolo 5 del Codice la fissazione dei requisiti professionali dei collaudatori in relazione alle caratteristiche dell'opera, nonché le modalità di espletamento dell'incarico e la redazione del certificato di collaudo, sostituito dal certificato di regolare esecuzione per lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro.
L'Autorità si è occupata della materia con l'atto di regolazione n. 6/1999 concernente gli incarichi di progettazione e le altre prestazioni tecniche connesse alla realizzazione dell'opera, con riguardo alla previgente disciplina in materia di lavori pubblici ai sensi della legge n. 109/1994.
Con la delibera n. 82 del 2007 ed i pareri n. 65 e 102 del 2008 ha affermato che il collaudo di lavori pubblici rientra tra i servizi soggetti alla disciplina del Codice.
Con la Determinazione n. 2 del 25 febbraio 2009 l’Autorità ha fornito le indicazioni per l’affidamento degli incarichi di collaudo di lavori pubblici a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo 11 settembre 2008, n. 152 che ha apportato importanti modifiche alla disciplina degli affidamenti degli incarichi di collaudo. In particolare:
1. il collaudo relativo ad un contratto pubblico di lavori è affidato in via prioritaria al personale interno della stazione appaltante, in possesso dei requisiti fissati preventivamente in relazione alla complessità della prestazione; tale affidamento deve essere motivato, con riferimento alla esperienza e competenza dell'interessato, nel rispetto dei principi della proporzionalità, della trasparenza e della rotazione, a tal fine assicurando anche, con cadenza periodica, adeguata pubblicità degli incarichi affidati; al personale dipendente della amministrazione aggiudicatrice incaricato del collaudo spetta, quale compenso dell'attività svolta, l'incentivo ai sensi dell'articolo 92, comma 5, del Codice;
2. la stazione appaltante, in caso di carenza del proprio organico, è tenuta a verificare la possibilità di affidare il collaudo a dipendenti di diversa amministrazione;
3. il collaudo comprende ogni attività di verifica tecnica necessaria secondo quanto previsto dalla normativa di settore in relazione all'oggetto dell'appalto, con riferimento in particolare al collaudo statico, che è svolto pertanto dal soggetto incaricato del collaudo, in possesso dei requisiti stabiliti dalla specifica disciplina;
4. l'affidamento esterno dell'incarico di collaudo, rientrante nella categoria 12 dei servizi attinenti l'ingegneria e l'architettura, di cui all'all. IIA del Codice, avviene mediante procedure ad evidenza pubblica, nel rispetto delle disposizioni concernenti l'affidamento di tali servizi, ai sensi degli artt. 90 e 91 del Codice;
5. è consentito l'affidamento in economia dell'incarico di collaudo, qualora la stazione appaltante abbia indicato tale attività nel proprio regolamento interno, ai sensi e nei limiti dell'articolo 125 del Codice;
6. la partecipazione alla gara è preclusa in via generale ai dipendenti pubblici, ad eccezione dei casi in cui è consentito lo svolgimento della libera professione dalle norme sul pubblico impiego (articolo 53 del d.l.vo n. 165/2001);
7. è ammessa la partecipazione alla procedura concorsuale delle società di ingegneria che devono indicare il responsabile della prestazione, in analogia con quanto previsto per gli incarichi di progettazione;
8. i requisiti per la partecipazione alla gara devono essere proporzionati alla prestazione richiesta, favorendo la più ampia partecipazione dei soggetti interessati; a tal fine, l'esperienza maturata è valutata con riguardo non solo all'attività di collaudo, ma anche ad altre attività attinenti ai servizi di ingegneria ed architettura;
9. l'individuazione del soggetto affidatario avviene utilizzando il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base della scelta discrezionale dell'amministrazione.

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03 marzo 2011

DEPOSITO DEL CONTRATTO DI SUBAPPALTO

Di regola, in sede di offerta le imprese che intendono subappaltare i lavori, debbono dichiarare le parti degli stessi che intendono affidare in sede di appalto.
Successivamente all'aggiudicazione dei lavori e nel corso dei lavori stessi, l'impresa che ha chiesto di subappaltare i lavori deve chiedere l'autorizzazione alla stazione appaltante, corredando la richiesta con l'indicazione del soggetto a cui intende subappaltare i lavori medesimi e con uno schema di contratto di subappalto che rispetti tutte le prescrizioni dell'art. 118.
Il deposito oltre che dello schema del contratto deve essere corredato dalla documentazione attestante il possesso da parte del subappaltatore di tutti i requisiti generali e speciali per partecipare all'appalto, richiesti dalla normativa della legge quadro per l'esecuzione dei lavori pubblici.
Dalla data di ricevimento della predetta istanza decorre il termine di trenta giorni per il rilascio dell'autorizzazione che e' da considerare assentita se in esso l'amministrazione non provvede al diniego dell'autorizzazione stessa.
Un successivo adempimento autonomo e' quello del deposito del contratto di subappalto, una volta stipulato, presso la stazione appaltante.
Un termine di giorni 20 deve decorrere prima dell'inizio dei lavori ed e' inteso ad assegnare all'amministrazione un ulteriore spatium deliberandi per la verifica del contratto stipulato e comporta un divieto per l'appaltatore di consentire l'effettivo inizio dell'esecuzione delle relative lavorazioni da parte del subappaltatore.
Questa procedura che viene in via ordinaria seguita non esclude - in mancanza di divieto normativo in proposito - che possa essere depositato, all'atto della richiesta di autorizzazione, non lo schema, ma il contratto di subappalto stipulato. In tal caso il termine di 30 giorni anzidetto copre sia lo spazio lasciato all'amministrazione per concedere o negare l'autorizzazione, sia il termine di 20 giorni prescritto come attesa prima dell'inizio dell'esecuzione dei lavori.
Nel caso di subappalto senza autorizzazione dell'amministrazione subappaltante gli effetti sono chiaramente indicati per legge. A parte l'obbligo di denuncia al magistrato penale, ove ricorrano gli estremi relativi, e' rimessa alla valutazione discrezionale dell'amministrazione l'avvalersi delle facolta' che la legge le assegna di far valere l'invalidita' del contratto, di chiederne la risoluzione, a seguito di una ponderata valutazione degli interessi dell'amministrazione stessa.
In ordine, infine, alla possibilita' di autorizzazione a sanatoria, va considerato che la funzione della norma a contenuto di prevenzione, come risulta dalla stessa intitolazione della legge, ed il principio che l'autorizzazione deve precedere l'attivita' e non seguirla, inducono a ritenere inammissibile la sanatoria stessa, salva l'adozione di provvedimenti per la definizione di rapporto patrimoniale, ancorche' si debba ritenere che gli stessi intercorrono, in via principale, tra l'appaltatore ed il subappaltatore.

Determinazione dell’AVCP n.20/2000 del 5/4/2000

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02 marzo 2011

NUMERO MEDIO DEL PERSONALE TECNICO SU BASE ANNUA

In base all’art. 66, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, relativo ai requisiti economico - finanziari e tecnico - organizzativi di partecipazione alle gare di progettazione, tali requisiti sono, tra l’altro, definiti con riguardo:
«d) al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni (comprendente i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua), in una misura variabile tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell'incarico».
La questione di diritto verte sull’interpretazione dell’espressione «numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni».
Occorre stabilire se il requisito sia soddisfatto mediante calcolo di un numero medio del personale tecnico su base annua, per ciascun anno del triennio, ovvero mediante calcolo del numero medio su base triennale, poi suddiviso per i tre anni.
La prima soluzione appare più rigorosa e favorisce i concorrenti che hanno un numero elevato di dipendenti già da almeno tre anni.
Si tratta perciò di una soluzione che favorisce i concorrenti aventi una capacità tecnica – organizzativa stabile nel tempo e non realizzata solo in prossimità della data dell’appalto.
La seconda soluzione favorisce invece i concorrenti che sono «cresciuti» come numero di dipendenti anche solo nel periodo immediatamente precedente la data di pubblicazione del bando dell’appalto.
Il Collegio ritiene di dover aderire alla prima interpretazione, seguita anche dal T.A.R., sia alla luce del dato letterale, sia alla luce della ratio legis.
Invero, la norma si riferisce al «numero medio annuo» del personale, e dunque mostra di chiedere il calcolo di una media annuale autonoma e distinta per ciascun anno del triennio.
Se la media andasse calcolata con riguardo al triennio, sarebbe stato sufficiente parlare di numero medio di personale nell’ultimo triennio.
Sotto il profilo della ratio legis, la prima soluzione dà maggiori garanzie dell’effettiva capacità tecnico – organizzativa del concorrente, meglio soddisfacendo lo scopo perseguito dalla norma.
Si deve perciò concludere che l’art. 66, lett. d), D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, laddove stabilisce che i requisiti economico - finanziari e tecnico - organizzativi di partecipazione alle gare di progettazione, sono definiti con riguardo «al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni» va interpretato nel senso che il numero medio di dipendenti prescritto dal bando va calcolato distintamente per ciascun anno del triennio e deve essere posseduto per ognuno dei tre anni.

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Dalla deliberazione dell’AVCP n. 29 del 26.02.2007:
“Ai sensi dell’articolo 42, comma 1, lettera g) del d. Lgs. n. 163/2006, uno dei modi per dimostrare la capacità tecnica negli appalti di servizi, è mediante “l’indicazione del numero medio annuo dei dipendenti del concorrente e il numero di dirigenti impiegati negli ultimi tre anni”.
L’espressione “organico medio annuo aziendale, nell’ultimo triennio” non può che riferirsi alla media annuale di ciascun anno del periodo di riferimento, che deve essere posseduta per ognuno dei tre anni.
Infatti, come chiarito nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 1774/2003, con la quale il Collegio ha fornito l’interpretazione dell’espressione “numero medio annuo del personale utilizzato negli ultimi tre anni” di cui all’articolo 66, comma 1, lettera d) del d.P.R. 554/1999, laddove si fosse voluto estrapolare un valore medio con riguardo al triennio, “sarebbe stato sufficiente parlare di numero medio di personale nell’ultimo triennio.”
Detta interpretazione applica il “metodo letterale” alle parole usate nella clausola di che trattasi, nel loro valore semantico secondo l’uso linguistico generale.
Ciò non contrasta con quanto asserito dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 37/2007, secondo la quale, in aderenza all’orientamento al riguardo della Cassazione Civile, i canoni di interpretazione delle clausole dei bandi di gara sono quelli desunti dagli articoli 1362 e ss. del codice civile. Il metodo letterale “è il primo e principale strumento” del processo interpretativo di un negozio giuridico (Cass. Civ. sez. I, 22.12.2005 n. 28479) , ma deve essere integrato con quello della finalità perseguita con la clausola nel caso in cui l’elemento letterale non assorba ed esaurisca ogni altro criterio di interpretazione.
La clausola in esame non presenta, tuttavia, elementi di equivocità, in presenza dei quali, ai sensi dell’articolo 1369 cod. civ., le espressioni che possono avere più sensi, devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto. Inoltre, anche tenendo conto della necessità che “la formulazione letterale sia verificata alla luce dell’intero contesto contrattuale” (Cass. Civ. cit.) e “dovendo in ogni caso ricostruire l’intento dell’amministrazione” (TAR Veneto, Venezia, sez. III, 26.9.2006 n. 3076), si evidenzia che nelle procedure di scelta del contraente l’amministrazione è tenuta ad individuare l’esecutore dell’appalto sulla base di una scelta che dia le maggiori garanzie possibili, nei limiti della ragionevolezza, della capacità tecnico organizzativa dell’impresa.
2. Relativamente alla definizione di “organico”, si precisa che in tale dizione, ai fini che interessano la fattispecie, rientra esclusivamente il personale dipendente, a tempo indeterminato ed a tempo determinato, e cioè il personale stabilmente e regolarmente incardinato nell'impresa in virtù di un rapporto di lavoro subordinato. In tal senso si è espressa l’Autorità con determinazione n. 8/2002, in materia di requisiti di qualificazione, i cui indirizzi di carattere generale sono applicabili per analogia al caso di specie. Restano fuori pertanto, i collaboratori parasubordinati, da ricondursi nell’ambito del lavoro autonomo (cfr. circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica 15.7.2004 n. 4) ed i consulenti e le altre tipologie di lavoratori atipici.
Si precisa, infine, che ai fini del computo dell’organico medio annuo, si calcolano tutti i dipendenti che, nell’anno, hanno prestato servizio indipendentemente dalla frazione di anno espletata.”
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Il Ministero delle Infrastrutture, Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale Direzione Generale per la regolazione e dei contratti pubblici Div. IV, con circolare n. 4649 del 12 novembre 2009, ha diramato dei "chiarimenti in ordine all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 253, comma 15-bis, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163".
Si tratta di norma transitoria (in vigore fino al 31 dicembre 2010), introdotta dal terzo decreto correttivo (n. 152 del 2008) e prorogata al 31 marzo 2011 con il decreto milleproroghe, per i servizi di ingegneria e di architettura, e relativa alla dimostrazione dei requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria per l'affidamento di incarichi di progettazione, coordinamento sicurezza in fase di progettazione, direzione lavori e coordinamento sicurezza in fase di esecuzione e collaudo (art. 91 del Codice dei Contratti).

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vedi anche: Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) sentenza n. 967 del 2005

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01 marzo 2011

MIX DESIGN DEL CALCESTRUZZO

Esistono fondamentalmente due tipi di mix-design: semplice e complesso.
Il mix-design è semplice quando è necessario individuare la composizione del calcestruzzo se si conoscono i seguenti tre requisiti che rappresentano gli elementi base per ogni mix-design anche secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni emanate con il DM del 14 Gennaio del 2008*:
la classe di resistenza → resistenza caratteristica (Rck) da convertire in a/c se si conosce il tipo di cemento;
la classe di consistenza → lavorabilità;
il diametro massimo dell’inerte (Dmax) disponibile → compatibilità con il copriferro.
Il mix-design è complesso quando, oltre ai suddetti tre requisiti, esiste almeno un’altra caratteristica aggiuntiva (usualmente la durabilità) che interessa conferire al materiale.
Da un punto di vista pratico, poiché la recente normativa riportata nelle Norme Tecniche per le Costruzioni emanate con DM del 24 Gennaio 2008 prevede che nel progetto sia sempre indicato la classe di esposizione**, l’unica possibilità per l’esistenza di un mix design semplice può essere adottato solo nelle costruzioni con classe di esposizione X0 per la quale non esiste alcun vincolo per il conseguimento della durabilità (ambienti interni al riparo dalle piogge ambientali).

Il mix-design, letteralmente progetto della miscela, è il procedimento per il calcolo della composizione del calcestruzzo (in termini di quantità di cemento, di acqua e di inerti per m3 di calcestruzzo), a partire da:

a) le proprietà ingegneristiche del materiale indurito (resistenza meccanica, modulo elastico, ritiro, scorrimento viscoso, durabilità, ecc.), quali risultano dall’esigenza del progetto dell’opera;

b) le esigenze esecutive (lavorabilità, organizzazione del cantiere, modalità di getto, ecc.);

c) i materiali disponibili (tipo di cemento, di inerti e di additivi).

L’accumulo di dati consolidati in oltre un secolo di esperienza sull’impiego del calcestruzzo consente di calcolare preventivamente la composizione della miscela partendo dai requisiti tecnici richiesti. Esistono, in sostanza, una serie di consolidate correlazioni tra le proprietà richieste da una parte (resistenza meccanica, ritiro, deformazione viscosa, durabilità, ecc.) e la composizione del calcestruzzo dall’altra (rapporto acqua/cemento, rapporto inerte/cemento, acqua di impasto, ecc.). Tali correlazioni, esprimibili di volta in volta sotto forma di equazioni, di grafici o tabelle, riguardano:

● il rapporto acqua-cemento (a/c) che è il parametro fondamentale - unitamente al tipo di cemento - nel determinare il comportamento meccanico, e la resistenza alle aggressioni ambientali (durabilità);

● la scelta dell’aggregato per tipologia (alluvionale o frantumato) e per dimensione (diametro massimo) è di fondamentale importanza - unitamente agli additivi che modificano la lavorabilità dell’impasto fresco - per determinare la richiesta d’acqua del calcestruzzo e condizionare in modo significativo il dosaggio di cemento e quello dell’inerte: ridurre l’acqua - attraverso una combinazione di aggregato e di additivo - significa logicamente ridurre il dosaggio di cemento (a parità di a/c) e quindi aumentare il volume dell’inerte (a parità di lavorabilità), con benefici straordinari sulla stabilità dimensionale della struttura (in termini di minor ritiro igrometrico e minore deformazione viscosa) e sul costo del materiale;

● il dosaggio di cemento è quindi la conseguenza logica dell’analisi sopra menzionata che consiste nel tramutare le esigenze ingegneristiche (resistenza meccanica, durabilità e lavorabilità) in una composizione del calcestruzzo. Esso, pertanto non può essere prefissato a priori da specifiche tecniche, con conseguenze talvolta disastrose fin dall’inizio di vita della struttura; per esempio: fessure indotte da gradienti termici e ritiro da essiccamento, entrambe provocate da un eccesso di calore di idratazione correlato con un eccessivo dosaggio ed impropria scelta del tipo di cemento. (vedi articolo)

* Nel paragrafo § 11.2.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni emanate con DM del 24 Gennaio del 2008 si precisa che “la prescrizione del calcestruzzo all’atto del progetto deve essere caratterizzata almeno mediante la classe di resistenza, la classe di consistenza ed il diametro massimo dell’aggregato”.
** Nel paragrafo §11.2.11 delle “Norme Tecniche delle Costruzioni” si precisa che “per garantire la durabilità delle strutture in cls ordinario armato e precompresso, esposte all’azione dell’ambiente, si devono adottare i provvedimenti atti a limitare gli effetti di degrado indotti dall’attacco chimico, fisico e derivante dalla corrosione delle armature e dai cicli di gelo e disgelo”.

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